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Lo gnosticismo



In ragione della sua evidente attitudine sincretistica, lo gnosticismo è stato spesso interpretato come un aggregato di dottrine eterogenee, un amalgama all’interno del quale risulterebbe dominante un dualismo di origine greca che parassitariamente si innesterebbe come eresia sul nascente cristianesimo, deformandone l’originario kerygma storico verso una deriva mitizzante o pseudofilosofica, comunque nella direzione di un’ellenizzazione radicale. In alternativa, lo gnosticismo è stato identificato come un fenomeno di quel magmatico sommovimento teologico che, avviato da preesistenti tradizioni orientali, iraniche in particolare, o giudaiche eterodosse (o samaritane), sarebbe all’origine della stessa teologia del Nuovo Testamento. Comunque, in se stessa, a prescindere dal suo adattamento cristiano, la Weltanschauung gnostica sarebbe indipendente dal cristianesimo. Al contrario, ritengo che lo stesso dualismo gnostico sia concepibile soltanto a partire dalla fede nel Cristo crocifisso, rappresentando uno stadio estremo e radicale, innovativo e tutt’altro che parassitario, della presa di coscienza dell’identità e irriducibilità della nuova rivelazione di salvezza proprio nei confronti di giudaismo e ellenismo, estremizzazione in qualche modo inevitabile, dunque, e dialetticamente decisiva - malgrado la sua ambiguità, pur nella sua rapida marginalizzazione - per l’autocoscienza del cristianesimo nascente.


Certo, di fronte agli studi dedicati alle origini dello gnosticismo, sorprende constatare l’oscillazione tra l’abnorme dilatazione storica, geografica, dottrinale di Jonas da una parte (lo gnosticismo come generico, onnicomprensivo dualismo anticosmico) e la sua costrizione e marginalizzazione all’interno di sfuggenti sette eterodosse giudaiche dall’altra; ciò dipende in buona parte dal senso da attribuire al termine “gnosticismo”: il documento finale di Messina ci permette di distinguere una vaga gnosi, «conoscenza dei misteri divini riservata a una élite», dallo gnosticismo come determinato movimento storico testimoniato a partire dal lI sec. con connotati dottrinali ben precisi, che riformulerei in:


1) assoluta trascendenza del Dio primo, spesso concepito come Inizio del tutto semplice e ineffabile del pleroma, della pienezza o totalità dell’essere divino, realtà in divenire gerarchicamente articolata attraverso la relazione tra una pluralità di ipostasi spesso androgine;


2) degradazione del Dio superiore, ovvero peccato e caduta al di fuori della pienezza divina di un elemento divino più o meno periferico, spesso femminile, comunque consustanziale al Dio supremo;


3) conseguente disporsi della realtà teologica (e quindi ontologica) a due o tre livelli subordinati e conseguente opposizione tra il pleroma, la pienezza divina trascendente, e il kenoma, il vuoto dell’essere extrapleromatico generato dal peccato divino e organizzato dall’Arconte o Demiurgo (il dio negativo, ignorante e superbo, il prodotto abortivo in cui il peccato divino si personalizza) in creazione materiale, talvolta diabolicamente connotata;


4) provvisoria mescolanza nel kenoma tra le due o tre sostanze, soltanto escatologicamente separate (più o meno drasticamente, per riordinamento verticale e\o distruzione dell’inferiore);


5) intervento metastorico, quindi cosmico e storico di un Salvatore-Rivelatore celeste, che, discendendo in maniera più o meno nascosta nel kenoma, recupera l’elemento divino decaduto (spesso concepito come suo partner femminile) donandogli la gnosi della sua origine che lo libera dalla prigionia del mondo antidivino e lo riconduce all’unità trascendente perduta, ricostituendo la totalità del pleroma. Bisogna inoltre precisare che, in riferimento alla caduta del divino, si dà all’interno dello gnosticismo, rispetto alla variante sopra descritta, che Jonas definisce “siro-egizia”, un’altra variante, meno diffusa e definita da Jonas “iranica”: il principio negativo appare come esterno e talvolta persino coeterno al principio divino, che aggredisce o contamina, causando l’alienazione e l’imprigionamento della sua periferia1.


Non più percorribile appare l’ipotesi di un proto-gnosticismo orientale, iranico in particolare, sostenuta dalla religionsgeschichtliche Schule (Bousset, Reitzenstein; e sulla loro scia Bultmann e più recentemente Widengren2), ipotesi viziata dal limite di astrazione inerente ad un comparativismo antistorico, che non solo reduplica il mito gnostico aggregando artificiosamente frammenti disparati rintracciati in un nebuloso e onnicomprensivo Oriente, ma risolve con troppa disinvoltura il problema della mediazione tra fenomeni culturali e religiosi cronologicamente e geograficamente così distanti3. Mi concentrò pertanto sulle ipotesi dell’origine pagana e dell’origine giudaico/samaritana, per cercare quindi di argomentare a favore dell’origine cristiana dello gnosticismo.


Ma prima di analizzare rapidamente le varie ipotesi da un punto di vista contenutistico, mi pare opportuno soffermarmi brevemente su alcune questioni di metodo,


1) Malgrado il crescente scetticismo nei confronti della risolvibilità e della stessa legittimità della questione delle origini dello gnosticismo4, si deve almeno ribadire come in realtà non di questione oziosa o trascurabile si tratti: rispetto alla comoda perché onnicomprensiva tesi dello gnosticismo come fenomeno sincretistico o parassitario, la questione dell’origine conserva tutta la sua importanza in quanto tenta comunque di comprendere e definire (pur se inevitabilmente per approssimazioni) l’essenza dello gnosticismo, l’irriducibile peculiarità della sua struttura mito-logica e del suo principio chiave, ovvero quell’autocoscienza che storicamente fondava (e fonda oggi per lo storico) l’identità religiosa e dottrinale dello gnosticismo, quella Weltanschauung comune a diversi testi o sistemi teologici e al tempo stesso irriducibile alle fondamentali teologie o teosofie dell’epoca.


Non mi pare pertanto del tutto convincente la pur interessante proposta di Filoramo di sostituire alla ricerca dell’essenza dottrinale dello gnosticismo un suo studio descrittivo, tutt’al più culminante nell’identificazione di una duplice attitudine: 1) mitologizzante, 2) psicologica o riflessiva, sì da subordinare il confronto tra il fenomeno gnostico e le grandi correnti filosofiche e religiose coeve (platonismo, giudaismo, cristianesimo) - per quanto magmatiche, non ancora strutturate in ben definite ortodossie tra I e II secolo - all’identificazione di una «mitologia della riflessione» come prospettiva peculiare dello gnosticismo, irriducibile ai suoi pur numerosi prestiti esterni5. Mi pare infatti che la proposta di Filoramo possa essere sviluppata in due direzioni assai diverse: a) un’accezione troppo generica del principio individuante («la mitologia della riflessione»), che rende quindi inevitabile l’esito di una riduzione dello gnosticisrno a fenomeno sincretistico; b) una più convincente e feconda identificazione della peculiarità dello gnosticismo con la paradossale affermazione - a mio parere di origine cristiana - dell’identità radicale e sistematica tra umano e divino, capace di catalizzare l’attitudine mitologica per il paradosso. Ma è opportuno in proposito considerare rispettivamente che:


a) In realtà, nessuna religione (tantomeno il cristianesimo paolino e quindi cattolico: basti considerare il mito della caduta adamitica) può prescindere da un contenuto mitico più o meno sviluppato, persino il pensiero metafisico è - mi si consenta il paradosso - mitologia sub specie rationali, qualsiasi religione o metafisica è quindi ricerca di un’identità non immediatamente evidente o fruibile, tentativo di autocoscienza, di redenzione attraverso il racconto archetipale, l’anamnesi del divino principio originario (l’Altro o il Sé assoluto che solo fonda e “identifica” il sé contingente) da cui la realtà dipende; né mere valutazioni quantitative (l’essere più o meno preponderante l’attitudine mitologizzante, l’essere più o meno pronunciata l’ansia soggettivistica nella ricerca religiosa) possono decidere da sole dell’identitità di un fenomeno religioso.


b) Ovviamente i1 mito ha per lo storico valore solo se riconosciuto e studiato razionalmente, ovvero se traducibile in logos, che non vuoi dire misconoscerne l’irriducibile eterogeneità (genetica e espressiva) al pensiero discorsivo, ma confidare nel valore linguistico, comunicativo del mito: il mito ha un senso, una finalità razionalmente comprensibile (ad esempio lo stesso gnostico attingimento dell’autocoscienza divinizzatrice). Nelle pagine che seguono, quindi, il mito gnostico non verrà considerato come un casuale aggregato di materiali preesistenti, o come un mero involucro fantastico rispetto ad un’essenza razionale o dottrinale da svelare, ma come “logica intuitiva” che, violando il principio onto-logico di identità e di non contraddizione6, ha la peculiarità di antropomorfizzare radicalmente (sino alla stessa kenosi del peccato e della morte) il principio assoluto e di divinizzare l’uomo e le sue passioni, sino a far coincidere con la teogonia drammatica rivelata la stessa anamnesi della natura divina dell’uomo; il che non vuol dire neutralizzare il mito gnostico nell’astorico, invariabile meccanismo di un processo para-logico, ma rimandare al fondamento storico, al principio storico catalizzatore e ordinatore dell’universo mitologico gnostico, a quello che potremmo definire il virus o la chiave che introduce il caos delle passioni umane in Dio, ovvero i miti orfici e misterici nella impassibile trascendenza dell’Uno platonico o le angeleologie apocalittiche e lo stesso mito della caduta di Adamo e Eva (generalmente reinterpretata come caduta di Sophia) nel sempre più remoto Jahve giudaico ellenistico: la fede nell’Uomo-Dio crocifisso Gesù Cristo, che subendo nei sistemi gnostici uno slittamento mito-logico dal singolare (l’identità personale dell’Uomo-Dio e la storica irripetibilità dell’evento dell’incarnazione) all’universale (la sua essenzializzazione e indeterminata moltiplicazione nella natura degli spirituali), produce quindi l’abbattimento delle barriere tra Figlio e Padre, tra umano e divino quindi tra l’io e il Sé (simbolicamente il femminile e il maschile), peccato e redenzione, morte e salvezza eterna, tutto questo comunque paradossalmente all’interno di una teologia filosoficamente nutrita, logicamente raffinatissima.


Insomma, non basta descrivere la natura mitopoietica dello gnosticismo, né identificare le molteplici tradizioni mitologiche (ebraiche, greche ed egizie) che vi convergono, ma bisogna cercare di spiegare storicamente come e perché questa sovrabbondante componente mitologica si presenti all’interno di un pensiero teo-logico estremamente evoluto: il tentativo di risposta qui abbozzato è che logica e mitologia, ovvero differenza metafisica e radicale identità tra umano e divino, si incrociano nello gnosticismo a partire dall’intuizione paradossale del Dio che diviene uomo rivelandosi nella kenosi, che quindi toglie e assume il peccato, che redime morendo per l’uomo peccatore.


2) Dunque contro l’interpretazione sincretistica dello gnosticismo7, mi pare importante ribadire come solo a partire da un’intuizione fondante, da un già definito principio ordinatore può svilupparsi, come da un seme vitale, un organismo dottrinale, che, pur vivendo ovviamente di molteplici contributi, non si risolve in un’astratta addizione, in un casuale amalgama di elementi eterogenei (categorie filosofiche, dottrine orfiche e oscuri miti orientali e giudaici, testimonianze evangeliche e speculazioni astrologiche), reciprocamente indifferenti, se non refrattari. Se astrattamente tutto ciò dovrebbe risultare ovvio, concretamente le ipotesi finora formulate su questo possibile principio ordinatore sono state troppo generiche: se infatti si accetta l’onnicomprensivo dualismo anticosmico di Jonas, o il dualismo orfico-platonico di Bianchi, solo problematicamente si può affermare l’irriducibilità sostanziale dello gnosticismo nei confronti del pensiero di un Empedocle, di un Plotino, persino di un Heidegger8, se non addizionando, aggregando estrinsecamente elementi cristiani, implicitamente considerati come inessenziali rispetto al cuore della Weltanschauung gnostica.


3) Bisogna inoltre evitare di ricadere nel vizio metodologico, ormai diffusissimo e sistematicamente stigmatizzato da Simonetti9, di postulare una pretesa gnosi precristiana o non cristiana (ovvero sorta del tutto indipendentemente dal cristianesimo) della quale non riusciamo ad avere che testimonianze gnostiche assai dubbie (i pochi testi di Nag Hammadi che sarebbero privi di influenze cristiane sono tardi, confusi residui di dottrine sethiane solo in questi prive di elementi cristiani, rimpiazzati da prestiti neoplatonici estrinsecamente assimilati)10 o testimonianze esterne tarde (il Poimandres e qualche altro passo ermetico, Zosimo, il corpus mandeo11), esse stesse condizionate proprio da quel cristianesimo che dovrebbero precedere o da cui dovrebbero prescindere. Circolo vizioso, questo, spesso applicato allo stesso rapporto tra testi gnostici e NT, invertendo il rapporto causa/effetto, considerando quelli che rimangono spunti o intuizioni gravide di conseguenze come effetti (positivi o reattivi) di dottrine gnostiche precristiane postulate senza la minima prova storica (clamoroso mi pare il caso della relazione tra il Prologo giovanneo, la Protennoia triforme di Nag Hammadi, e la fantomatica loro fonte comune precristiana12). Occorre invece attenersi al dato storico accertato: all’anteriorità (fino a prova contraria) dei testi del NT rispetto a quelli gnostici, alle antiche testimonianze pagane e cristiane che sono unanimi nel considerare l’origine cristiana dello gnosticismo, resistendo all’abuso dell’ipotesi della “cristianizzazione” dei testi gnostici e alla loro odierna conseguente, arbitraria manipolazione, che, attraverso la parossistica dilatazione delle incrostazioni cristiane da espungere, finisce per disintegrare il testo ricostruendolo a proprio comodo.


4) Di fronte a questo inverificabile relativismo filologico, che subordina il testo al presupposto ideologico, mi pare si ponga un imperativo di metodo: si può dire qualcosa di significativo nei riguardi dell’ipotesi dell’origine cristiana dello gnosticismo non basandosi sulla valorizzazione di singoli dettagli o termini cristiani in testi considerati non cristiani da alcuni studiosi, ma soltanto individuando in essi strutture portanti, nodi concettuali decisivi (ad esempio la caduta divina, la relazione tra la prima teofania extrapleromatica e la creazione demiurgica dell’uomo) che si dimostrano inspiegabili, inconcepibili senza la dipendenza dalla fede in Cristo e dal NT.


Prima di entrare in medias res, occorre quindi almeno accennare agli studi più recenti e importanti sull’origine cristiana dello gnosticismo, indispensabili punti di riferimento, in positivo come in negativo13.


a) L’importante testo della Pétrement ha avuto il grande merito di mettere in questione, contro corrente, il dogma di una gnosi pre- o non cristiana e di evidenziare l’indissolubile relazione tra il NT e alcuni nodi concettuali gnostici (cfr. ad esempio il cap. sulla grazia e la predestinazione, pp. 259-297), con risultati comunque alterni, commettendo l’errore strategico di ostinarsi a voler forzare ogni singolo elemento dello gnosticismo all’interno del cristianesimo, misconoscendone di fatto l’attitudine sincretistica (eccessiva appare in particolare la minimizzazione della componente giudaica). Il limite essenziale del suo contributo sta comunque nell’identificare l’intuizione chiave dello gnosticismo con un sentimento esasperato della trascendenza ovvero con un dualismo anticosmico - in questo ancora dipendendo da Jonas (cfr. pp. 45; 58-60; 245-247; cfr. infra nota 12) - specificato in senso gnostico soltanto in quanto facente capo ad un dualismo teologico tra vero Dio e dio inferiore (cfr. pp. 22-23), considerato cristiano perché originato dall’esperienza della croce di Cristo, ma poi nuovamente tradotto in un’opposizione irriducibile tra mondo terreno e mondo celeste che si distingue solo a fatica dal dualismo metafisico platonico. La Pétrement risulta pertanto molto persuasiva nel radicare nel conflitto tra AT e NT, tra economia della Legge e rivelazione della grazia la genesi dell’idea della condanna gnostica di Jahve (cfr. p. 52), ma non mette a fuoco il problema per me decisivo della passione intradivina, della caduta del Figlio o di Sophia (cfr. il deludente capitolo dedicato alla Madre, pp. 113-140); insomma per la Pétrement «la croce separa Dio dal mondo» (p. 60) (e quindi dal Demiurgo), e non Dio da Dio, ovvero rimane un segno estrinseco, che si limita a rivelare ancora soltanto un dualismo cosmologico o ontologico, e non la sua causa, il più profondo segreto del dualismo intrateologico, dello scindersi di Dio in ipostasi decaduta e in ipostasi redentrice.


b) Il contributo della Aland, pur limitato all’analisi del valentiniano Vangelo di verità, mi pare riesca a cogliere con grande lucidità l’intuizione-chiave della teologia gnostica, avendo identificato nella fede nella croce e nella resurrezione di Cristo l’origine del mito gnostico della caduta divina e del trionfo di Dio sul nulla (dell’alienazione, della morte, del peccato), possibilità sempre aperta nella relazione tra il Padre e gli eoni da lui derivati: «Gott will dem Nichtigen verfallen, damit Gott das Nichtige überwindet. Der Satz impliziert eine Trennung von fallendem und rettendem Gott. Das ist ein häretischer Satz, aber er ist nicht ohne das Christentum denkbar» (p. 339). Malgrado lo gnosticismo sia qui tradotto in un troppo “hegeliano” processo speculativo, all’interno del quale la stessa tragica scissione divina è provvidenzialmente e docetisticamente risolta, malgrado la troppo disinvolta utilizzazione dell’opposizione ortodossia/eresia e l’estrema limitatezza del tema trattato, il saggio della Aland contiene alcune delle pagine più profonde dedicate al nostro problema.


c) È già stata evidenziata la decisiva importanza del contributo di Simonetti da un punto di vista storico e metodologico. Ma se Simonetti ha convincentemente dimostrato come de facto il fenomeno gnostico sia attestato soltanto in ambito cristiano, qui si cercherà di affrontare il problema de iure, da un punto di vista essenzialmente dottrinale, chiedendosi perché solo in ambito cristiano esso sia, almeno in origine, concepibile.


d) È di recentissima pubblicazione un libro radicalmente innovativo e destinato, ci si augura, a duratura fortuna nel campo degli studi sullo gnosticismo: si tratta del lavoro di A. H. B. Logan, Gnostic Truth and Christian Heresy14; dedicato essenzialmente allo studio dell’Apocrifo di Giovanni e della sua complessa tradizione, filologicamente accuratissimo, esso rappresenta una vera e propria demolizione della tesi di una tradizione gnostico-sethiana indipendente dal cristianesimo: «The form or forms of Gnosticism found in the so-called “Sethian” texts cannot be understood apart from Christianity, and that the attemps to derive the phenomenon from Jewish sectananism break down both because of the lack of evidence of the existence of the Jewish sects and heterodox opinions that require to be posited, and because of the lack of any coherent rationale for the revolutionary position adopted by these Gnostics» (p. XVIII). Pur respingendo giustamente la pretesa della Pétrement di dedurre dal cristianesimo ogni singolo aspetto della dottrina gnostica, Logan identifica comunque «at the heart of the Gnostic phenomenon some form of myth or myths, some unified way of seeing the world, arising from genuine experience, often visionary, on the part of a religious genius or geniuses» (XIX): ora Logan identifica nella notizia barbelognostica di Ireneo 1,29 la documentazione più prossima all’intuizione originaria dei sistemi gnostici, unitariamente riconducibili, nella loro stessa varietà, ad un genio creatore cristiano (operante ad Antiochia tra il 120 e il 130), da cui quindi dipenderebbero sia la tradizione sethiana che quella valentiniana.


Ma dietro quest’ipotesi del mito creatore non si nasconde la difficoltà a ricostituire la logica interna del mito gnostico? Affermando la creazione dal nulla di una dottrina ad opera di un singolo teologo o visionario, non si aggira in realtà la questione delle origini, dei contesti e dei debiti culturali? Non ci si limita a ridurre questo carattere cristiano ad una collezione di elementi? Non a caso la definizione del mito originario identificato da Logan è assai debole: «The Gnostics were Platonists from the first... the heart of the gnostic myth would seem to be the archetypal experience of Christ and of Sophia. The reception, in ones alienated state of exile or oblivion, of the saving revelation or gnosis through a vision or experience of the Saviour and his attendant angels» (p. 34). Il grande limite di Logan è quindi quello di dover in qualche modo sdoppiare il mito gnostico (cfr. pp. 173-183), rischiando di riproporre una visione sincretistica dello gnosticismo, giustapponendo senza connettere sufficientemente alienazione divina (identificata con un personaggio femminile instabile, di origine giudaica, rappresentante la stessa comunità degli gnostici) e redenzione divina (personaggio maschile, Gesù Cristo). Ma da dove e perché, si è tentati di chiedere a Logan, irrompe attraverso il deus ex machina del genio creatore l’intuizione del peccato di Sophia (cfr. l’evasivo capitolo dedicato alla caduta di Sophia, pp. 127-138)? Chi è Sophia e perché è accomunata a Cristo? Non dice forse Sophia il vero segreto di Cristo stesso, piuttosto che limitarsi a rappresentare lo stato d’animo della comunità gnostica? Pur attribuendo un rilevantissimo valore scientifico all’opera di Logan, filologicamente ineccepibile, capace di ricostruire una tradizione gnostico-cristiana assai complessa, che va dal1’Apocrifo di Giovanni sino a Zostriano, bisognerà cercare di procedere oltre il suo tentativo, chiedendosi: qual è la relazione tra il peccato e Dio, tra Cristo e Sophia, ovvero tra Cristo e la sua passione? Quale l’intima connessione tra il mito di caduta e quello di redenzione? Non è proprio il mito del Redentore Redento, identificato da Bousset e Reitzenstein come intuizione fondante dei sistemi gnostici, la chiave di accesso al segreto di Cristo e di Sophia?



1 Cfr H. Jonas, The Gnostic Religion. The message of the Alien God and the Beginnings of Christianity, Boston 1958, tr. it. Lo gnosticismo, Roma 1991(2), pp. 252-253; U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male e la salvezza, Roma 1991, pp. 146-147; A. Orbe, Hacia la primera teològla de laprocesiòn del Verbo, Roma 1958, I, pp. 203-285.

2 Cfr. G. Widengren, Les origines du gnosticisme et l’histoire des religions, in U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, Leiden 1967, pp. 18-60.

3 Decisiva rimane l’opera di C. Colpe, Die religionsgeschichtliche Schule. Darstellung und Kritik ihres Bildes vom gnostischen Erlösermythos, Göttingen 1964: Interessanti alcune critiche portate contro die iranische Urmenschhypothese da G. Quispel, Der gnostische Anthropos und die jüdische Tradition, in «Eranos Jahrbuch» 12, 1954, pp. 195- 234, quindi in Gnostic Studies I, pp. 173-195. Cfr. infine le osservazioni critiche di U. Bianchi sulle tesi di Widengren in Perspectives de la recherche sur les origines du gnosticisme, in U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, pp. 7 16-746, in particolare pp. 716-721; analogamente, cfr. A. Bausani, Letture iraniche per l’origine e la definizione tipologica di gnosi, ibidem, pp. 251-264.

4 Van den Broek conclude un suo importante contributo affermando scetticamente che «Gnosticism... cannot be explained exclusively from Judaism or Platonism, and certainly not from Christianity. Not any of the exclusive explanations of its origin is satisfactory» (R. van den Broek, The Present State of Gnostic Studies, in «Vigiliae Christianae» 37, 1983, pp. 41-71, in particolare p. 71). Cfr. in tal senso le considerazioni di G. Filoramo, L’attesa della fine. Storia della gnosi, Bari 1987, pp. 222-228. La negazione più convinta della legittimità di una ricerca intorno all’essenza dello gnosticismo è comunque quella recentemente sostenuta da A. Magris, Trasformazioni del modello biblico di Dio nello gnosticismo, in «Annali di storia dell’esegesi» 12\2, pp. 233-25 1, in particolare pp. 233-236.

5 «Il mito gnostico costituisce il frutto di una trasformazione culturale. Da buon bricoleur, il mitologo gnostico non si dà certo pena di inventare nuovi contenuti, ma riprende più antichi materiali trafugati, con la disinvoltura propria dei processi sincretistici, dalle più diverse tradizioni religiose. Ma nel corpo, talora esangue, di questi temi motivi immagini, egli è ora in grado di immettere una linfa vitale che scaturisce dal suo nuovo “fuoco mentale” permeato dal rifiuto radicale del mondo e del corpo e animato da un’angosiosa, lancinante ricerca della propria vera natura e identità. Per chi cerchi di coglierne l’aspetto caratterizzante, quella gnostica si presenta come la specie di un genere mitologico particolare: la mitologia della riflessione» (G. Filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare dio, Bari 1990, p. 180); cfr. Id., L’attesa della fine, pp. 74-85; G.A.G. Stroumsa, Another Seed: Studies in Gnostic Mythology, Leiden 1984, pp. 1-4.

6 Scrive Tardieu, applicando allo gnosticismo le categorie di J.-P. Vernant (di cui cfr. Mythe et pensée chez les Grecs, Paris 1969(2), tr. it. Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, Torino 1970, pp. 5-6, 257-258; 271-273): «L’impression d’incohérence, que donne un texte gnostique, vient de ce qu’on cherche à comprendre une pensée qui est mythique à travers les schémas de la rationalité. Le mode propre de la pensée dans le mythe s’organise autour du principe d’ambiguïté, toute construction reposant sur l’équilibre et la tension de notions polaires et ambivalentes, associées par contrastes et couples d’opposés, qui se renversent successivement. Par opposition à ce type de pensée, la pensée rationnelle s’articule autour du principe de non-contradiction, tendant à distinguer ce qui est uni dans le mythe... D’autre part... la pensée mythique à l’œuvre dans la gnose est une pensée qui a rationalisé et systématisé le mythe, jusqu’à le faire entrer dans une dogmatique ou une mécanique du pur signifié» (M. Tardieu, Trois mythes gnostiques. A dam, Eros et les animaux d’Egypte dans un écrit de Nag Hammadi (II,5), Paris 1974, pp. 47-48).

7 Interpretazione sostenuta ad esempio da F.M.M. Sagnard, La gnose valentinienne et le témoignage de saint Irénée, Paris 1947, pp. 575-614, in particolare pp. 609-614; H. Jonas, Lo gnosticismo, pp. 53-54; M. Simonetti, Gnosticismo e cristianesimo, in «Vetera Christianorum» 28, 1991, pp. 337-374, ora in Ortodossia ed eresia tra I e Il secolo, Messina 1994, pp. 101-140: cfr. in particolare pp. 136-140.

8 Cfr. H. Jonas, op. cit., pp. 83; 335-355; U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo, pp. 269-27 1. In particolare sulla valutazione di Filone, Origene e Plotino come pensatori partecipi (pur se dialetticamente) della Weltanschauung gnostica, cfr. H. Jonas, Gnosis und spatantiker Geist, Göttingen 1954, II, pp. 171-223; Id., Philosophical Essays. From Ancient Creed to Technological Man, Chicago 1974, tr. it. Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Bologna 1991, ove cfr. in particolare l’articolo del 1971 riportatovi: L’anima nello gnosticismo e in Plotino, pp. 451-463; in proposito cfr. infine le precisazioni di Jonas nell’intervista (del 1975) concessa a e riportata in I. P. Couliano, Gnosticismo e pensiero moderno: Hans Jonas, Roma 1985, pp. 141-143; per una più prudente riconsiderazione della tesi di Jonas e un parallelo tra Valentino, Origene e Plotino, cfr. G. Quispel, From mythos to Logos, in «Eranos Jahrbuch» 39, 1973, quindi in Gnostic Studies, Istanbul 1974, I, pp. 158-169. Sul rapporto tra lo gnosticismo e la filosofia di Heidegger, cfr. H. Jonas., Zwischen Nichts und Ewigkeit. Zur Lehre vom Menschen, Göttingen 1963, tr. it. Tra il nulla e l’eternità, Ferrara 1992: cfr. in particolare il cap. Gnosi, esistenzialismo e nichilismo, pp. 19-47.

9 Cfr. M. Simonetti, Gnosticismo e cristianesimo, pp. 114- 116; 124-125; 129-130. Ancora valide in proposito le osservazioni metodologiche di E.M. Yamauchi, Pre-Christian Gnosticism. A Survey of the Proposed Evidences, London 1973, pp. 170-186; cfr. inoltre M. Hengel, Der Sohn Gottes. Die Entstehung der Christologie und die jüdisch-hellenistische Religionsgeschichte, Tübingen 1977(2), tr. it. Il Figlio di Dio. L’origine della cristologia e la storia della religione giudeo-ellenistica, Brescia 1984; cfr. in particolare le sue importanti osservazioni metodologiche contro Bousset, Bultmann, Heitmuller (pp. 39-41) e contro Adam, Schmithals, Bartsch (pp. 57-60): contro l’astorica postulazione di un mito gnostico precristiano condizionante lo stesso NT, Hengel ribadisce che «proprio il primo cristianesimo ha avuto un effetto determinante nella formazione dei sistemi gnostici, o per dirla con A.D. Nock, “fu l’emergere di Cristo, e della credenza che egli fosse un essere soprannaturale comparso sulla terra, a far precipitare elementi precedentemente sospesi in soluzione”» (p. 59). In tal senso cfr. anche la lunga e importante nota dello stesso M. Hengel, L’ellenizzazione della Giudea nel I secolo d. C., Brescia 1993 (ed. tedesca 1991), pp. 131-132, nota 2. Cfr. A.D. Nock, Gnosticism, in «The Harvard Theological Review» 57, 1964, pp. 257-279, quindi in Essays on Religion and the Ancient World, Oxford 1972, II, pp. 940-959, in particolare pp. 954-958 (l’affermazione sopra citata da Hengel è a p. 958).

10 Indicativo il vero e proprio paralogismo di R. van den Broek, The Present State, p. 67, che, si badi bene, è l’unica argomentazione portata in questo contributo, comunque fondamentale, contro l’ipotesi dell’origine cristiana dello gnosticismo: «There are no gnostic works which in their present form are demonstrably pre-Christian. But the Nag-Hammadi Library contains several gnostic tractates which are certainly non Christian. These writings show that Gnosticism did not arise as a Christian heresy»; pur volendo accettare l’apodittica (e problematica) asserzione dell’esistenza di testi non cristiani a Nag Hammadi, comunque i pochi trattati di Nag Hammadi apparentemente del tutto privi di elementi cristiani (ad esempio Eugnosto, Norea, Zostriano, Allogene) non possono essere portati a prova inconfutabile dell’origine non cristiana dello gnosticismo («Gnosticism did not arise as a Christian heresy»!), essendo almeno altrettanto plausibile l’ipotesi che essi siano testi decristianizzati (cfr. in proposito R.McL. Wilson, The “Trimorphic Protennoia”, in M. Krause (ed.), Gnosis and Gnosticism, Papers Read at the VIII International Conference on Patristic Studies, Leiden 1981, pp. 50-54), risultando comunque evidente il loro essere non solo testi anteriori al cristianesimo, ma anche testi piuttosto tardi, rivelando chiare influenze neoplatoniche. La stessa argomentazione di van den Broek si ritrova in H.-M. Schenke, Was ist Gnosis? Neue Aspekte der alten Fragen nach dem Ursprung und dem Wesen der Gnosis, in J.B. Bauer e A.D. Galter (edd.), Gnosis, Graz 1994, pp. 179-207.

11 Sul mito storiografico del mandeismo come remota testimonianza di una gnosi non cristiana, cfr. il demitizzante E. Lupieri, I mandei. Gli ultimi gnostici, Brescia 1993, in particolare pp. 150-154.

12 Indicativo in proposito l’articolo di J.M. Robinson, Sethians and Johannine Thought. The “Trimorphic Protennoia” and the Prologue of the Gospel of John, in B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism, Leiden 1981, II, pp. 643-662; G. Iacopino, Il Vangelo di Giovanni nei testi gnostici copti, Roma 1995, pp. 161-173 e in particolare 1o status quaestionis alla nota 99, pp. 161-162.

13 S. Pétrement, Le Dieu séparé. Les origines du gnosticisme, Paris 1984; B. Aland, Gnosis und Christentum, in B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism, II, pp. 319- 342; M. Simonetti, Gnosticismo e cristianesimo; non potranno essere ovviamente trascurate le labirintiche ma illuminanti, indispensabili analisi di Orbe, che, pur in assenza di un’esplicita e organica teoria sulle origini, proprio l’essenza cristiana dello gnosticismo presuppongono; mi limito a rimandare a A. Orbe, Estudios valentinianos, Roma 1955-1966; Id., Cristologia Gnóstica. Introducción a la soteriologia de los siglos II y III, I-II, Madrid 1976.

14 A.H. B. Logan, Gnostic Truth and Christian Heresy. A Study in the History of Gnosticism, Edinburgh 1996.


GAETANO LETTIERI

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