In ragione della sua evidente attitudine sincretistica, lo gnosticismo è stato spesso interpretato come un aggregato di dottrine eterogenee, un amalgama all’interno del quale risulterebbe dominante un dualismo di origine greca che parassitariamente si innesterebbe come eresia sul nascente cristianesimo, deformandone l’originario kerygma storico verso una deriva mitizzante o pseudofilosofica, comunque nella direzione di un’ellenizzazione radicale. In alternativa, lo gnosticismo è stato identificato come un fenomeno di quel magmatico sommovimento teologico che, avviato da preesistenti tradizioni orientali, iraniche in particolare, o giudaiche eterodosse (o samaritane), sarebbe all’origine della stessa teologia del Nuovo Testamento. Comunque, in se stessa, a prescindere dal suo adattamento cristiano, la Weltanschauung gnostica sarebbe indipendente dal cristianesimo. Al contrario, ritengo che lo stesso dualismo gnostico sia concepibile soltanto a partire dalla fede nel Cristo crocifisso, rappresentando uno stadio estremo e radicale, innovativo e tutt’altro che parassitario, della presa di coscienza dell’identità e irriducibilità della nuova rivelazione di salvezza proprio nei confronti di giudaismo e ellenismo, estremizzazione in qualche modo inevitabile, dunque, e dialetticamente decisiva - malgrado la sua ambiguità, pur nella sua rapida marginalizzazione - per l’autocoscienza del cristianesimo nascente.
Certo,
di fronte agli studi dedicati alle origini dello gnosticismo,
sorprende constatare l’oscillazione tra l’abnorme dilatazione
storica, geografica, dottrinale di Jonas da una parte (lo gnosticismo
come generico, onnicomprensivo dualismo anticosmico) e la sua
costrizione e marginalizzazione all’interno di sfuggenti sette
eterodosse giudaiche dall’altra; ciò dipende in buona parte dal
senso da attribuire al termine “gnosticismo”: il documento finale
di Messina ci permette di distinguere una vaga gnosi,
«conoscenza dei misteri divini riservata a una élite», dallo
gnosticismo
come determinato movimento storico testimoniato a partire dal lI sec.
con connotati dottrinali ben precisi, che riformulerei in:
1)
assoluta trascendenza del Dio primo, spesso concepito come Inizio del
tutto semplice e ineffabile del pleroma,
della pienezza o totalità dell’essere divino, realtà in divenire
gerarchicamente articolata attraverso la relazione tra una pluralità
di ipostasi spesso androgine;
2)
degradazione del Dio superiore, ovvero peccato e caduta al di fuori
della pienezza divina di un elemento divino più o meno periferico,
spesso femminile, comunque consustanziale al Dio supremo;
3)
conseguente disporsi della realtà teologica (e quindi ontologica) a
due o tre livelli subordinati e conseguente opposizione tra il
pleroma,
la pienezza divina trascendente, e il kenoma,
il vuoto dell’essere extrapleromatico generato dal peccato divino e
organizzato dall’Arconte o Demiurgo (il dio negativo, ignorante e
superbo, il prodotto abortivo in cui il peccato divino si
personalizza) in creazione materiale, talvolta diabolicamente
connotata;
4)
provvisoria mescolanza nel kenoma
tra le due o tre sostanze, soltanto escatologicamente separate (più
o meno drasticamente, per riordinamento verticale e\o distruzione
dell’inferiore);
5)
intervento metastorico, quindi cosmico e storico di un
Salvatore-Rivelatore celeste, che, discendendo in maniera più o meno
nascosta nel kenoma,
recupera l’elemento divino decaduto (spesso concepito come suo
partner femminile) donandogli la gnosi della sua origine che lo
libera dalla prigionia del mondo antidivino e lo riconduce all’unità
trascendente perduta, ricostituendo la totalità del pleroma. Bisogna
inoltre precisare che, in riferimento alla caduta del divino, si dà
all’interno dello gnosticismo, rispetto alla variante sopra
descritta, che Jonas definisce “siro-egizia”, un’altra
variante, meno diffusa e definita da Jonas “iranica”: il
principio negativo appare come esterno e talvolta persino coeterno al
principio divino, che aggredisce o contamina, causando l’alienazione
e l’imprigionamento della sua periferia1.
Non
più percorribile appare l’ipotesi di un proto-gnosticismo
orientale, iranico in particolare, sostenuta dalla
religionsgeschichtliche
Schule
(Bousset, Reitzenstein; e sulla loro scia Bultmann e più
recentemente Widengren2),
ipotesi viziata dal limite di astrazione inerente ad un
comparativismo antistorico, che non solo reduplica il mito gnostico
aggregando artificiosamente frammenti disparati rintracciati in un
nebuloso e onnicomprensivo Oriente, ma risolve con troppa
disinvoltura il problema della mediazione tra fenomeni culturali e
religiosi cronologicamente e geograficamente così distanti3.
Mi concentrò pertanto sulle ipotesi dell’origine pagana e
dell’origine giudaico/samaritana, per cercare quindi di argomentare
a favore dell’origine cristiana dello gnosticismo.
Ma
prima di analizzare rapidamente le varie ipotesi da un punto di vista
contenutistico, mi pare opportuno soffermarmi brevemente su alcune
questioni di metodo,
1)
Malgrado il crescente scetticismo nei confronti della risolvibilità
e della stessa legittimità della questione delle origini dello
gnosticismo4,
si deve almeno ribadire come in realtà non di questione oziosa o
trascurabile si tratti: rispetto alla comoda perché onnicomprensiva
tesi dello gnosticismo come fenomeno sincretistico o parassitario, la
questione dell’origine conserva tutta la sua importanza in quanto
tenta comunque di comprendere e definire (pur se inevitabilmente per
approssimazioni) l’essenza dello gnosticismo, l’irriducibile
peculiarità della sua struttura mito-logica
e del suo principio chiave, ovvero quell’autocoscienza che
storicamente fondava (e fonda oggi per lo storico) l’identità
religiosa e dottrinale dello gnosticismo, quella Weltanschauung
comune a diversi testi o sistemi teologici e al tempo stesso
irriducibile alle fondamentali teologie o teosofie dell’epoca.
Non
mi pare pertanto del tutto convincente la pur interessante proposta
di Filoramo di sostituire alla ricerca dell’essenza dottrinale
dello gnosticismo un suo studio descrittivo, tutt’al più
culminante nell’identificazione di una duplice attitudine: 1)
mitologizzante, 2) psicologica o riflessiva, sì da subordinare il
confronto tra il fenomeno gnostico e le grandi correnti filosofiche e
religiose coeve (platonismo, giudaismo, cristianesimo) - per quanto
magmatiche, non ancora strutturate in ben definite ortodossie
tra I e II secolo - all’identificazione di una «mitologia della
riflessione» come prospettiva peculiare dello gnosticismo,
irriducibile ai suoi pur numerosi prestiti esterni5.
Mi pare infatti che la proposta di Filoramo possa essere sviluppata
in due direzioni assai diverse: a) un’accezione troppo generica del
principio individuante («la mitologia della riflessione»), che
rende quindi inevitabile l’esito di una riduzione dello
gnosticisrno a fenomeno sincretistico; b) una più convincente e
feconda identificazione della peculiarità dello gnosticismo con la
paradossale affermazione - a mio parere di origine cristiana -
dell’identità radicale
e sistematica
tra umano e divino, capace di catalizzare l’attitudine mitologica
per il paradosso. Ma è opportuno in proposito considerare
rispettivamente che:
a)
In realtà, nessuna religione (tantomeno il cristianesimo paolino e
quindi cattolico: basti considerare il mito della caduta adamitica)
può prescindere da un contenuto mitico più o meno sviluppato,
persino il pensiero metafisico è - mi si consenta il paradosso -
mitologia sub
specie rationali,
qualsiasi religione o metafisica è quindi ricerca di un’identità
non immediatamente evidente o fruibile, tentativo di autocoscienza,
di redenzione attraverso il racconto archetipale, l’anamnesi del
divino principio originario (l’Altro o il Sé assoluto che solo
fonda e “identifica” il sé contingente) da cui la realtà
dipende; né mere valutazioni quantitative (l’essere più o meno
preponderante l’attitudine mitologizzante, l’essere più o meno
pronunciata l’ansia soggettivistica nella ricerca religiosa)
possono decidere da sole dell’identitità di un fenomeno religioso.
b)
Ovviamente i1 mito ha per lo storico valore solo se riconosciuto e
studiato razionalmente, ovvero se traducibile in logos,
che non vuoi dire misconoscerne l’irriducibile eterogeneità
(genetica e espressiva) al pensiero discorsivo, ma confidare nel
valore linguistico, comunicativo del mito: il mito ha un senso, una
finalità razionalmente comprensibile (ad esempio lo stesso gnostico
attingimento dell’autocoscienza divinizzatrice). Nelle pagine che
seguono, quindi, il mito gnostico non verrà considerato come un
casuale aggregato di materiali preesistenti, o come un mero involucro
fantastico rispetto ad un’essenza razionale o dottrinale da
svelare, ma come “logica intuitiva” che, violando il principio
onto-logico di identità e di non contraddizione6,
ha la peculiarità di antropomorfizzare radicalmente
(sino alla stessa kenosi
del peccato e della morte) il principio assoluto e di divinizzare
l’uomo e le sue passioni, sino a far coincidere con la teogonia
drammatica rivelata la stessa anamnesi della natura divina dell’uomo;
il che non vuol dire neutralizzare il mito gnostico nell’astorico,
invariabile meccanismo di un processo para-logico, ma rimandare al
fondamento storico, al principio storico catalizzatore e ordinatore
dell’universo mitologico gnostico, a quello che potremmo definire
il virus o la chiave che introduce il caos delle passioni umane in
Dio, ovvero i miti orfici e misterici nella impassibile trascendenza
dell’Uno platonico o le angeleologie apocalittiche e lo stesso mito
della caduta di Adamo e Eva (generalmente reinterpretata come caduta
di Sophia) nel sempre più remoto Jahve giudaico ellenistico: la fede
nell’Uomo-Dio crocifisso Gesù Cristo, che subendo nei sistemi
gnostici uno slittamento mito-logico dal singolare (l’identità
personale dell’Uomo-Dio e la storica irripetibilità dell’evento
dell’incarnazione) all’universale (la sua essenzializzazione e
indeterminata moltiplicazione nella natura degli spirituali),
produce quindi l’abbattimento delle barriere tra Figlio e Padre,
tra umano e divino quindi tra l’io e il Sé (simbolicamente il
femminile e il maschile), peccato e redenzione, morte e salvezza
eterna, tutto questo comunque paradossalmente all’interno di una
teologia filosoficamente nutrita, logicamente raffinatissima.
Insomma,
non basta descrivere la natura mitopoietica dello gnosticismo, né
identificare le molteplici tradizioni mitologiche (ebraiche, greche
ed egizie) che vi convergono, ma bisogna cercare di spiegare
storicamente come e perché questa sovrabbondante componente
mitologica si presenti all’interno di un pensiero teo-logico
estremamente evoluto: il tentativo di risposta qui abbozzato è che
logica e mitologia, ovvero differenza metafisica e radicale identità
tra umano e divino, si incrociano nello gnosticismo a partire
dall’intuizione paradossale del Dio che diviene uomo rivelandosi
nella kenosi,
che quindi toglie e assume il peccato, che redime morendo per l’uomo
peccatore.
2)
Dunque contro l’interpretazione sincretistica dello gnosticismo7,
mi pare importante ribadire come solo a partire da un’intuizione
fondante, da un già definito principio ordinatore può svilupparsi,
come da un seme vitale, un organismo dottrinale, che, pur vivendo
ovviamente di molteplici contributi, non si risolve in un’astratta
addizione, in un casuale amalgama di elementi eterogenei (categorie
filosofiche, dottrine orfiche e oscuri miti orientali e giudaici,
testimonianze evangeliche e speculazioni astrologiche),
reciprocamente indifferenti, se non refrattari. Se astrattamente
tutto ciò dovrebbe risultare ovvio, concretamente le ipotesi finora
formulate su questo possibile principio ordinatore sono state troppo
generiche: se infatti si accetta l’onnicomprensivo dualismo
anticosmico di Jonas, o il dualismo orfico-platonico di Bianchi, solo
problematicamente si può affermare l’irriducibilità sostanziale
dello gnosticismo nei confronti del pensiero di un Empedocle, di un
Plotino, persino di un Heidegger8,
se non addizionando, aggregando estrinsecamente elementi cristiani,
implicitamente considerati come inessenziali rispetto al cuore della
Weltanschauung
gnostica.
3)
Bisogna inoltre evitare di ricadere nel vizio metodologico, ormai
diffusissimo e sistematicamente stigmatizzato da Simonetti9,
di postulare una pretesa gnosi precristiana o non cristiana (ovvero
sorta del tutto indipendentemente dal cristianesimo) della quale non
riusciamo ad avere che testimonianze gnostiche assai dubbie (i pochi
testi di Nag Hammadi che sarebbero privi di influenze cristiane sono
tardi, confusi residui di dottrine sethiane solo in questi prive di
elementi cristiani, rimpiazzati da prestiti neoplatonici
estrinsecamente assimilati)10
o testimonianze esterne tarde (il Poimandres
e qualche altro passo ermetico, Zosimo, il corpus
mandeo11),
esse stesse condizionate proprio da quel cristianesimo che dovrebbero
precedere o da cui dovrebbero prescindere. Circolo vizioso, questo,
spesso applicato allo stesso rapporto tra testi gnostici e NT,
invertendo il rapporto causa/effetto, considerando quelli che
rimangono spunti o intuizioni gravide di conseguenze come effetti
(positivi o reattivi) di dottrine gnostiche precristiane postulate
senza la minima prova storica (clamoroso mi pare il caso della
relazione tra il Prologo giovanneo, la Protennoia
triforme di Nag Hammadi, e la fantomatica loro fonte comune
precristiana12).
Occorre invece attenersi al dato storico accertato: all’anteriorità
(fino a prova contraria) dei testi del NT rispetto a quelli gnostici,
alle antiche testimonianze pagane e cristiane che sono unanimi nel
considerare l’origine cristiana dello gnosticismo, resistendo
all’abuso dell’ipotesi della “cristianizzazione” dei testi
gnostici e alla loro odierna conseguente, arbitraria manipolazione,
che, attraverso la parossistica dilatazione delle incrostazioni
cristiane da espungere, finisce per disintegrare il testo
ricostruendolo a proprio comodo.
4)
Di fronte a questo inverificabile relativismo filologico, che
subordina il testo al presupposto ideologico, mi pare si ponga un
imperativo di metodo: si può dire qualcosa di significativo nei
riguardi dell’ipotesi dell’origine cristiana dello gnosticismo
non basandosi sulla valorizzazione di singoli dettagli o termini
cristiani in testi considerati non cristiani da alcuni studiosi, ma
soltanto individuando in essi strutture portanti, nodi concettuali
decisivi (ad esempio la caduta divina, la relazione tra la prima
teofania extrapleromatica e la creazione demiurgica dell’uomo) che
si dimostrano inspiegabili, inconcepibili senza la dipendenza dalla
fede in Cristo e dal NT.
Prima
di entrare in medias
res,
occorre quindi almeno accennare agli studi più recenti e importanti
sull’origine cristiana dello gnosticismo, indispensabili punti di
riferimento, in positivo come in negativo13.
a)
L’importante testo della Pétrement ha avuto il grande merito di
mettere in questione, contro corrente, il dogma di una gnosi pre- o
non cristiana e di evidenziare l’indissolubile relazione tra il NT
e alcuni nodi concettuali gnostici (cfr. ad esempio il cap. sulla
grazia e la predestinazione, pp. 259-297), con risultati comunque
alterni, commettendo l’errore strategico di ostinarsi a voler
forzare ogni singolo elemento dello gnosticismo all’interno del
cristianesimo, misconoscendone di fatto l’attitudine sincretistica
(eccessiva appare in particolare la minimizzazione della componente
giudaica). Il limite essenziale del suo contributo sta comunque
nell’identificare l’intuizione chiave dello gnosticismo con un
sentimento esasperato della trascendenza ovvero con un dualismo
anticosmico - in questo ancora dipendendo da Jonas (cfr. pp. 45;
58-60; 245-247; cfr. infra nota 12) - specificato in senso gnostico
soltanto in quanto facente capo ad un dualismo teologico tra vero Dio
e dio inferiore (cfr. pp. 22-23), considerato cristiano perché
originato dall’esperienza della croce di Cristo, ma poi nuovamente
tradotto in un’opposizione irriducibile tra mondo terreno e mondo
celeste che si distingue solo a fatica dal dualismo metafisico
platonico. La Pétrement risulta pertanto molto persuasiva nel
radicare nel conflitto tra AT e NT, tra economia della Legge e
rivelazione della grazia la genesi dell’idea della condanna
gnostica di Jahve (cfr. p. 52), ma non mette a fuoco il problema per
me decisivo della passione intradivina, della caduta del Figlio o di
Sophia (cfr. il deludente capitolo dedicato alla Madre, pp. 113-140);
insomma per la Pétrement «la croce separa Dio dal mondo» (p. 60)
(e quindi dal Demiurgo), e non Dio da Dio, ovvero rimane un segno
estrinseco, che si limita a rivelare ancora soltanto un dualismo
cosmologico o ontologico, e non la sua causa, il più profondo
segreto del dualismo intrateologico, dello scindersi di Dio in
ipostasi decaduta e in ipostasi redentrice.
b)
Il contributo della Aland, pur limitato all’analisi del
valentiniano Vangelo
di verità,
mi pare riesca a cogliere con grande lucidità l’intuizione-chiave
della teologia gnostica, avendo identificato nella fede nella croce e
nella resurrezione di Cristo l’origine del mito gnostico della
caduta divina e del trionfo di Dio sul nulla (dell’alienazione,
della morte, del peccato), possibilità sempre aperta nella relazione
tra il Padre e gli eoni da lui derivati: «Gott
will dem Nichtigen verfallen, damit Gott das Nichtige überwindet.
Der Satz impliziert eine Trennung von fallendem und rettendem Gott.
Das ist ein häretischer
Satz, aber er ist nicht ohne das Christentum denkbar» (p. 339).
Malgrado
lo gnosticismo sia qui tradotto in un troppo “hegeliano” processo
speculativo, all’interno del quale la stessa tragica scissione
divina è provvidenzialmente e docetisticamente risolta, malgrado la
troppo disinvolta utilizzazione dell’opposizione ortodossia/eresia
e l’estrema limitatezza del tema trattato, il saggio della Aland
contiene alcune delle pagine più profonde dedicate al nostro
problema.
c)
È già stata evidenziata la decisiva importanza del contributo di
Simonetti da un punto di vista storico e metodologico. Ma se
Simonetti ha convincentemente dimostrato come de
facto
il fenomeno gnostico sia attestato soltanto in ambito cristiano, qui
si cercherà di affrontare il problema de
iure,
da un punto di vista essenzialmente dottrinale, chiedendosi perché
solo in ambito cristiano esso sia, almeno in origine, concepibile.
d)
È di recentissima pubblicazione un libro radicalmente innovativo e
destinato, ci si augura, a duratura fortuna nel campo degli studi
sullo gnosticismo: si tratta del lavoro di A. H. B. Logan, Gnostic
Truth and Christian Heresy14;
dedicato essenzialmente allo studio dell’Apocrifo
di Giovanni e
della sua complessa tradizione, filologicamente accuratissimo, esso
rappresenta una vera e propria demolizione della tesi di una
tradizione gnostico-sethiana indipendente dal cristianesimo: «The
form or forms of Gnosticism found in the so-called “Sethian”
texts cannot be understood apart from Christianity, and that the
attemps to derive the phenomenon from Jewish sectananism break down
both because of the lack of evidence of the existence of the Jewish
sects and heterodox opinions that require to be posited, and because
of the lack of any coherent rationale for the revolutionary position
adopted by these Gnostics» (p. XVIII). Pur respingendo giustamente
la pretesa della Pétrement di dedurre dal cristianesimo ogni singolo
aspetto della dottrina gnostica, Logan identifica comunque «at the
heart of the Gnostic phenomenon some form of myth or myths, some
unified way of seeing the world, arising from genuine experience,
often visionary, on the part of a religious genius or geniuses»
(XIX): ora Logan identifica nella notizia barbelognostica di Ireneo
1,29 la documentazione più prossima all’intuizione originaria dei
sistemi gnostici, unitariamente riconducibili, nella loro stessa
varietà, ad un genio creatore cristiano (operante ad Antiochia tra
il 120 e il 130), da cui quindi dipenderebbero sia la tradizione
sethiana che quella valentiniana.
Ma
dietro quest’ipotesi del mito creatore non si nasconde la
difficoltà a ricostituire la logica interna del mito gnostico?
Affermando la creazione dal nulla di una dottrina ad opera di un
singolo teologo o visionario, non si aggira in realtà la questione
delle origini, dei contesti e dei debiti culturali? Non ci si limita
a ridurre questo carattere cristiano ad una collezione di elementi?
Non
a caso la definizione del mito originario identificato da Logan è
assai debole: «The Gnostics were Platonists from the first... the
heart of the gnostic myth would seem to be the archetypal experience
of Christ and of Sophia. The reception, in ones alienated state of
exile or oblivion, of the saving revelation or gnosis through a
vision or experience of the Saviour and his attendant angels» (p.
34). Il
grande limite di Logan è quindi quello di dover in qualche modo
sdoppiare il mito gnostico (cfr. pp. 173-183), rischiando di
riproporre una visione sincretistica dello gnosticismo,
giustapponendo senza connettere sufficientemente alienazione divina
(identificata con un personaggio femminile instabile, di origine
giudaica, rappresentante la stessa comunità degli gnostici) e
redenzione divina (personaggio maschile, Gesù Cristo). Ma da dove e
perché, si è tentati di chiedere a Logan, irrompe attraverso il
deus
ex machina
del genio creatore l’intuizione del peccato di Sophia (cfr.
l’evasivo capitolo dedicato alla caduta di Sophia, pp. 127-138)?
Chi è Sophia e perché è accomunata a Cristo? Non dice forse Sophia
il vero segreto di Cristo stesso, piuttosto che limitarsi a
rappresentare lo stato d’animo della comunità gnostica? Pur
attribuendo un rilevantissimo valore scientifico all’opera di
Logan, filologicamente ineccepibile, capace di ricostruire una
tradizione gnostico-cristiana assai complessa, che va dal1’Apocrifo
di Giovanni sino
a Zostriano,
bisognerà cercare di procedere oltre il suo tentativo, chiedendosi:
qual è la relazione tra il peccato e Dio, tra Cristo e Sophia,
ovvero tra Cristo e la sua passione? Quale l’intima connessione tra
il mito di caduta e quello di redenzione? Non è proprio il mito del
Redentore Redento, identificato da Bousset e Reitzenstein come
intuizione fondante dei sistemi gnostici, la chiave di accesso al
segreto di Cristo e di Sophia?
1
Cfr
H. Jonas, The
Gnostic Religion. The message of the Alien God and the Beginnings of
Christianity,
Boston 1958, tr. it. Lo
gnosticismo, Roma 1991(2), pp. 252-253; U. Bianchi, Prometeo,
Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male e la
salvezza, Roma 1991,
pp. 146-147; A. Orbe, Hacia
la primera teològla de laprocesiòn del Verbo,
Roma 1958, I, pp. 203-285.
2
Cfr. G. Widengren, Les
origines du gnosticisme et l’histoire des religions,
in U. Bianchi (ed.), Le
origini dello gnosticismo,
Leiden 1967, pp. 18-60.
3
Decisiva rimane l’opera
di C. Colpe, Die
religionsgeschichtliche Schule. Darstellung
und Kritik ihres Bildes vom gnostischen Erlösermythos,
Göttingen 1964: Interessanti alcune critiche portate contro die
iranische Urmenschhypothese
da G. Quispel, Der
gnostische Anthropos und die jüdische Tradition,
in «Eranos Jahrbuch» 12, 1954, pp. 195- 234, quindi in Gnostic
Studies
I, pp. 173-195. Cfr.
infine le osservazioni critiche di U. Bianchi sulle tesi di
Widengren in Perspectives
de la recherche sur les origines du gnosticisme,
in U. Bianchi (ed.), Le
origini dello gnosticismo,
pp. 7 16-746, in particolare pp. 716-721; analogamente, cfr. A.
Bausani, Letture
iraniche per l’origine e la definizione tipologica di gnosi,
ibidem, pp. 251-264.
4
Van
den Broek conclude un suo importante contributo affermando
scetticamente che «Gnosticism... cannot be explained exclusively
from Judaism or Platonism, and certainly not from Christianity. Not
any of the exclusive explanations of its origin is satisfactory»
(R. van den Broek, The
Present State of Gnostic Studies,
in «Vigiliae Christianae» 37, 1983, pp. 41-71, in particolare p.
71). Cfr. in tal
senso le considerazioni di G. Filoramo, L’attesa
della fine. Storia della gnosi,
Bari 1987, pp. 222-228. La negazione più convinta della legittimità
di una ricerca intorno all’essenza dello gnosticismo è comunque
quella recentemente sostenuta da A. Magris, Trasformazioni
del modello biblico di Dio nello gnosticismo,
in «Annali di storia dell’esegesi» 12\2, pp. 233-25 1, in
particolare pp. 233-236.
5
«Il mito gnostico
costituisce il frutto di una trasformazione culturale. Da buon
bricoleur, il mitologo gnostico non si dà certo pena di inventare
nuovi contenuti, ma riprende più antichi materiali trafugati, con
la disinvoltura propria dei processi sincretistici, dalle più
diverse tradizioni religiose. Ma nel corpo, talora esangue, di
questi temi motivi immagini, egli è ora in grado di immettere una
linfa vitale che scaturisce dal suo nuovo “fuoco mentale”
permeato dal rifiuto radicale del mondo e del corpo e animato da
un’angosiosa, lancinante ricerca della propria vera natura e
identità. Per chi cerchi di coglierne l’aspetto caratterizzante,
quella gnostica si presenta come la specie di un genere mitologico
particolare: la mitologia della riflessione» (G. Filoramo, Il
risveglio della gnosi ovvero diventare dio,
Bari 1990, p. 180); cfr. Id., L’attesa
della fine, pp.
74-85; G.A.G. Stroumsa, Another
Seed: Studies in Gnostic Mythology,
Leiden 1984, pp. 1-4.
6
Scrive Tardieu,
applicando allo gnosticismo le categorie di J.-P. Vernant (di cui
cfr. Mythe et pensée
chez les Grecs,
Paris 1969(2), tr. it. Mito
e pensiero presso i Greci. Studi
di psicologia storica,
Torino 1970, pp. 5-6, 257-258; 271-273): «L’impression
d’incohérence, que donne un texte gnostique, vient de ce qu’on
cherche à comprendre une pensée qui est mythique à travers les
schémas de la rationalité. Le mode propre de la pensée dans le
mythe s’organise autour du principe d’ambiguïté, toute
construction reposant sur l’équilibre et la tension de notions
polaires et ambivalentes, associées par contrastes et couples
d’opposés, qui se renversent successivement. Par opposition à ce
type de pensée, la pensée rationnelle s’articule autour du
principe de non-contradiction, tendant à distinguer ce qui est uni
dans le mythe... D’autre part... la pensée mythique à l’œuvre
dans la gnose est une pensée qui a rationalisé et systématisé le
mythe, jusqu’à le faire entrer dans une dogmatique ou une
mécanique du pur signifié» (M. Tardieu, Trois
mythes gnostiques. A dam, Eros et les animaux d’Egypte dans un
écrit de Nag Hammadi
(II,5),
Paris 1974, pp. 47-48).
7
Interpretazione
sostenuta ad esempio da F.M.M. Sagnard, La
gnose valentinienne et le témoignage de saint Irénée,
Paris 1947, pp. 575-614, in particolare pp. 609-614; H. Jonas, Lo
gnosticismo, pp.
53-54; M. Simonetti, Gnosticismo
e cristianesimo, in
«Vetera Christianorum» 28, 1991, pp. 337-374, ora in Ortodossia
ed eresia tra I e Il secolo,
Messina 1994, pp. 101-140: cfr. in particolare pp. 136-140.
8
Cfr. H. Jonas, op.
cit., pp. 83;
335-355; U. Bianchi, Prometeo,
Orfeo, Adamo, pp.
269-27 1. In particolare sulla valutazione di Filone, Origene e
Plotino come pensatori partecipi (pur se dialetticamente) della
Weltanschauung
gnostica, cfr. H. Jonas, Gnosis
und spatantiker Geist,
Göttingen 1954, II, pp. 171-223; Id., Philosophical
Essays. From Ancient Creed to Technological Man,
Chicago 1974, tr. it. Dalla
fede antica all’uomo tecnologico,
Bologna 1991, ove cfr. in particolare l’articolo del 1971
riportatovi: L’anima
nello gnosticismo e in Plotino,
pp. 451-463; in proposito cfr. infine le precisazioni di Jonas
nell’intervista (del 1975) concessa a e riportata in I. P.
Couliano, Gnosticismo
e pensiero moderno: Hans Jonas,
Roma 1985, pp. 141-143; per una più prudente riconsiderazione della
tesi di Jonas e un parallelo tra Valentino, Origene e Plotino, cfr.
G. Quispel, From
mythos to Logos, in
«Eranos Jahrbuch» 39, 1973, quindi in Gnostic
Studies, Istanbul
1974, I, pp. 158-169. Sul rapporto tra lo gnosticismo e la filosofia
di Heidegger, cfr. H. Jonas., Zwischen
Nichts und Ewigkeit. Zur Lehre vom Menschen,
Göttingen 1963,
tr. it. Tra il nulla
e l’eternità,
Ferrara 1992: cfr. in particolare il cap. Gnosi,
esistenzialismo e nichilismo,
pp. 19-47.
9
Cfr. M. Simonetti,
Gnosticismo e
cristianesimo, pp.
114- 116; 124-125; 129-130. Ancora valide in proposito le
osservazioni metodologiche di E.M. Yamauchi, Pre-Christian
Gnosticism. A
Survey of the Proposed Evidences,
London 1973, pp. 170-186; cfr. inoltre M. Hengel, Der
Sohn Gottes. Die Entstehung der Christologie und die
jüdisch-hellenistische Religionsgeschichte,
Tübingen 1977(2), tr. it. Il
Figlio di Dio. L’origine della cristologia e la storia della
religione giudeo-ellenistica,
Brescia 1984; cfr. in particolare le sue importanti osservazioni
metodologiche contro Bousset, Bultmann, Heitmuller (pp. 39-41) e
contro Adam, Schmithals, Bartsch (pp. 57-60): contro l’astorica
postulazione di un mito gnostico precristiano condizionante lo
stesso NT, Hengel ribadisce che «proprio il primo cristianesimo ha
avuto un effetto determinante nella formazione dei sistemi gnostici,
o per dirla con A.D. Nock, “fu l’emergere di Cristo, e della
credenza che egli fosse un essere soprannaturale comparso sulla
terra, a far precipitare elementi precedentemente sospesi in
soluzione”» (p. 59). In tal senso cfr. anche la lunga e
importante nota dello stesso M. Hengel, L’ellenizzazione
della Giudea nel I secolo d. C.,
Brescia 1993 (ed. tedesca 1991), pp. 131-132, nota 2. Cfr. A.D.
Nock, Gnosticism,
in «The Harvard Theological Review» 57, 1964, pp. 257-279, quindi
in Essays on Religion
and the Ancient World,
Oxford 1972, II, pp. 940-959, in particolare pp. 954-958
(l’affermazione sopra citata da Hengel è a p. 958).
10
Indicativo il vero e
proprio paralogismo di R. van den Broek, The
Present State, p.
67, che, si badi bene, è l’unica argomentazione portata in questo
contributo, comunque fondamentale, contro l’ipotesi dell’origine
cristiana dello gnosticismo: «There are no gnostic works which in
their present form are demonstrably pre-Christian. But
the Nag-Hammadi Library contains several gnostic tractates which are
certainly non Christian. These
writings show that Gnosticism did
not arise as a
Christian heresy»; pur volendo accettare l’apodittica (e
problematica) asserzione dell’esistenza di testi non cristiani a
Nag Hammadi, comunque i pochi trattati di Nag Hammadi apparentemente
del tutto privi di elementi cristiani (ad esempio Eugnosto,
Norea, Zostriano, Allogene)
non possono essere portati a prova inconfutabile dell’origine non
cristiana dello gnosticismo («Gnosticism did not arise as a
Christian heresy»!), essendo almeno altrettanto plausibile
l’ipotesi che essi siano testi decristianizzati (cfr. in proposito
R.McL. Wilson, The
“Trimorphic Protennoia”,
in M. Krause (ed.), Gnosis
and Gnosticism, Papers Read at the VIII International Conference on
Patristic Studies,
Leiden 1981, pp. 50-54), risultando comunque evidente il loro
essere non solo testi anteriori al cristianesimo, ma anche testi
piuttosto tardi, rivelando chiare influenze neoplatoniche. La stessa
argomentazione di van den Broek si ritrova in H.-M. Schenke, Was
ist Gnosis? Neue Aspekte der alten Fragen nach dem Ursprung und dem
Wesen der Gnosis,
in J.B. Bauer e A.D. Galter (edd.), Gnosis,
Graz 1994, pp. 179-207.
11
Sul mito storiografico
del mandeismo come remota testimonianza di una gnosi non cristiana,
cfr. il demitizzante E. Lupieri, I
mandei. Gli ultimi gnostici,
Brescia 1993, in particolare pp. 150-154.
12
Indicativo in proposito
l’articolo di J.M. Robinson, Sethians
and Johannine Thought. The “Trimorphic Protennoia” and the
Prologue of the Gospel of John,
in B. Layton (ed.), The
Rediscovery of Gnosticism,
Leiden 1981, II, pp. 643-662; G. Iacopino, Il
Vangelo di Giovanni nei testi gnostici copti,
Roma 1995, pp. 161-173 e in particolare 1o status
quaestionis alla
nota 99, pp. 161-162.
13
S. Pétrement, Le
Dieu séparé. Les origines du gnosticisme,
Paris 1984; B. Aland, Gnosis
und Christentum, in
B. Layton (ed.), The
Rediscovery of Gnosticism,
II, pp. 319- 342; M. Simonetti, Gnosticismo
e cristianesimo; non
potranno essere ovviamente trascurate le labirintiche ma
illuminanti, indispensabili analisi di Orbe, che, pur in assenza di
un’esplicita e organica teoria sulle origini, proprio l’essenza
cristiana dello gnosticismo presuppongono; mi limito a rimandare a
A. Orbe, Estudios
valentinianos, Roma
1955-1966; Id., Cristologia
Gnóstica. Introducción a la soteriologia de los siglos II y III,
I-II, Madrid 1976.
14
A.H.
B. Logan, Gnostic
Truth and Christian Heresy. A Study in the History of Gnosticism,
Edinburgh 1996.
GAETANO LETTIERI
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