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Alcuni saggi - prova d'istituto - per le olimpiadi di filosofia svolti dagli alunni della Colombo.

A cura di Daniel Filoni


Traccia N 5

"Dalla morte , dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto. Rigettare la paura che attanaglia ciò che è terreste, strappare alla morte il suo aculeo velenoso, togliere all'Ade il suo miasma pestilente, di questo si pretende capace la filosofia".

Franz Rosenzweig" La stella della Redenzione" sostiene che la filosofia coincida con la rimozione della paura della morte. Si crea dunque il paradosso che la paura della morte - insita in ogni uomo-  generi la filosofia, ma che poi la filosofia neghi la morte, tentando di circuire l'uomo attraverso l'idea del Tutto.

Il candidato commenti questo passo, sviluppando considerazioni sia di carattere teoretico sia argomentativo, prestando particolare attenzione alla relazione morte-filosofia che attraversa le riflessioni dei filosofi.


Di Francesca Rondinella  ( sezione lingua spagnolo)


La resurrección de la Filosofía a través de la muerte.

Desde el principio de los tiempos, la muerte y el temor hacia ella son el motor del universo. El hombre prehistórico, por ejemplo, se vio obligado a sobrevivir a través de cualquier medio posible; es decir que el descubrimiento del fuego no fue una mera casualidad, sino la consecuencia directa del instinto de autoconservación, internalizado en todo ser humano. Es posible afirmar, entonces, que dicho miedo da origen a la filosofía, cuyo propósito mas grande es aquel de responder a la pregunta de la existencia en sí misma, circunscribiendo al hombre dentro del todo que es el universo. 

La vida en su forma mas pura nos presenta el mayor enigma: el significado de ella en relación con el individuo y el mundo al que pertenece. De modo que la tarea del filosofo es construir la realidad a través de sus interpretaciones de este misterio, insertándolo en un cierto orden cosmológico y proveyendo a la sociedad la explicación del sentido de su existir. El concepto tan abstracto de vivir se puede entender solo mediante la noción de que estamos destinados a morir. Es plausible explicar esta última idea efectuando un paralelismo con la dialéctica de Hegel, por la cual un objeto encuentra su verdadera esencia en el contraste con su opuesto. En una suerte de oximoron, entonces, cada tesis se complementa con su antitesis para obtener su definición absoluta. A raíz de este proceso de afirmar y confutar diversas interpretaciones de la realidad describe la llamada autoconciencia, es decir el culmine de la relación entre el individuo y el universo, fuertemente conectados pero, a la vez, autónomos. El deseo hegeliano se define también por este medio como el modo en el cual el "yo" entiende como lo negativo de sí aquello que es externo a él. El filósofo concibe de esta forma la existencia del ser humano, poniendo el vínculo entre sí mismo y el mundo como el grado mas alto del conocimiento.

Por otro lado, Nietzsche define la vida y el futuro de la sociedad a través de su opuesto, la muerte, pero esta vez, de Dios. Este hecho señala la privación de todo valor terreno o ultraterreno que deja al hombre varado en un mundo desierto de moral. De este modo renacen ciertas virtudes éticas que ayudan al ser humano a alcanzar su auge y a adaptarse al devenir universal, al dinamismo presente en el cosmos. Se evoluciona así en el superhombre, cuyo motor es la voluntad de poder, es decir el deseo de mejorar en todas sus facetas y de abandonar toda clase de debilidad. Se verifica entonces que la posibilidad de obtener la libertad pura y la felicidad se presenta solo con la carencia del prejuicio de Dios y de la presión de llegar al paraíso tras la muerte.

En conclusión, la reflexión filosófica se construye en gran parte a través del temor a morir y del indescifrable enigma que es la vida misma. Con los ejemplos expuestos previamente se logra comprobar esta idea del pensamiento vinculado con el misterio de existir, el cual ha perseguido al hombre durante toda la historia.

Traccia n 4

L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevoleMinorità è l'incapacità di servirsi della propria intelligenza 3 senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! 4 Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell'illuminismo.
Pigrizia e viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo liberati dall'altrui guida [A 482] (naturaliter maiorennes), rimangono tuttavia volentieri minorenni a vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E' così comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che valuta la dieta per me, ecc., non ho certo bisogno di sforzarmi da me. Non ho bisogno di pensare, se sono in grado di pagare: altri si assumeranno questa fastidiosa occupazione al mio posto. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e fra questi tutto il gentil sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, si preoccupano già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l'alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo (Kant, Risposta alla domanda: Che cos'é l'illuminismo, 1783)

A partire dale considerazioni di kant, fai le tue riflessioni a proposito del valore della filosofia per la vita.

Di Tomás Zeballos ( sezione lingua italiano)

Conoscenza, filosofía e illuminismo.

L’Illuminismo è quel periodo storico del XVIII secolo che mette in discussione tutte le verità stabilite in precedenza e non necessariamente sottoposte al tribunale della ragione, intesa questa come strumento attraverso il quale si può conoscere la realtà esterna. Eppure anche prima dellIlluminismo, luomo aveva le capacità logico-cognitive per dubitare su tutto. Questione centrale, però, è che, per dubitare, occorre avere coraggio e determinazione. La ragione, dunque, se non accompagnata da queste due attitudini sopra citate, perde il suo valore fondamentale. Luomo è l’unico essere vivente dotato di ragione, ed è appunto per questo che occorre utilizzarla.

Attualmente, viviamo in una società che crede di essere libera soltanto perché la libertà di pensiero è formalmente presente nella maggioranza dei paesi occidentali. Da notare, però, il fatto che pur essendovi  la libertà, essa non necessariamente si coniuga con  il pensiero. Possiamo cioè essere liberi di pensare e decidere di non farlo. È opportuno a tal proposito chiarire che stiamo qui considerando il pensiero non in senso assoluto, bensì come capacità di dubitare su tutto in modo cartesiano. Così come il dubbio implica il pensiero, il pensiero implica, oppure è, il dubbio stesso. Alla luce di quanto appena detto, possiamo asserire che la società odierna pensa sempre meno. È una società passiva che accetta gli stimoli che costantemente riceve. Tutto ciò è causato soprattutto dai governi che non forniscono uneducazione di qualità, che miri allo sviluppo del pensiero critico. Questultimo è temuto perché incita alla protesta. Viviamo chiusi in un sogno tendente sempre di più all’incubo, e lunico strumento che abbiamo per svegliarci è la critica. Dobbiamo essere capaci di ragionare sulle problematiche attuali e criticare. In altre parole, come detto in precedenza, dobbiamo avere coraggio e determinazione.

Kant, nella Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo (1783) parla dellimportanza di passare dallo stato di minorità allo stato di maggiorità, cioè, dalla passività all’attività in virtù del pensiero. Se ho un libro che pensa per me e un direttore spirituale che ha coscienza per me, perché dovrei sforzarmi da me? Perché dovrei pensare? È necessario? - sostiene Kant. Questo ragionamento è impresso nellanima di ogni individuo della società, poiché l’ambiente in cui viviamo ci obbliga a pensare in questo modo, e la parte più grave di tutto ciò, è che non sempre ne siamo consapevoli. È quasi come se la nostra mente fosse impostata in questo modo per natura, come se la nostra forma mentis fosse immodificabile, assoluta, eterna. Eppure siamo capaci di oltrepassare questa barriera, di superare pigrizia e viltà, per giungere alla conoscenza.

La conoscenza, quindi, non è un insieme di nozioni fini a se stesse, bensì la capacità critica della ragione. Infatti, tutto ciò che si conosce deve essere sottoposto alla critica. Leducazione attuale - spazio centrale di sviluppo della conoscenza e quindi della capacità critica -  ha tralasciato, tuttavia, non solo lo sviluppo del pensiero critico, ma anche lapprendimento delle nozioni culturali, per mezzo di un processo di semplificazione dei programmi educativi che ha condotto e conduce ancora alla sottomissione delle società. Occorrerebbe, dunque, tornare a quei princìpi illuministici che mettevano la ragione alla base di tutto. Uno dei modi per fare ciò, è appunto attraverso la filosofia.

Il ruolo della filosofia viene spesso discusso in merito alla sua utilità. Marx stesso asseriva che la filosofia, in quanto non portatrice della prassi rivoluzionaria, era solo losservazione passiva della società, e dunque poco utile per superare la disuguaglianza sociale. Perché allora dovremmo dar credito alla filosofia se uno dei filosofi più importanti della storia ne è scettico?

Che la filosofia non serva a nulla, e che nel suo non servire a nulla essa rompa con il nesso utilitaristico del servire-a-qualcosa, è un dato di fatto. Considerando però la realtà in cui viviamo, la filosofia è fondamentale, perché sviluppa il pensiero critico. Grazie allo studio di ciò che è stato criticato in precedenza, e dunque allacquisizione di nozioni culturali-filosofiche di base, si possono introdurre nuove forme di pensiero del tutto personali, e senzaltro discutibili. Non occorre però avere paura del confronto, perché questo ci permette di acquisire un ruolo attivo in una società sempre più passiva. La filosofia ci permette di vedere oltre, di saper individuare similitudini e contraddizioni. Tutti i giorni ci troviamo davanti a situazioni in cui siamo costretti a prendere decisioni, e il pensiero critico diminuisce le possibilità di commettere errori. Sicuramente è piú semplice non pensare, accettare passivamente, non prendere delle decisioni, se tanto ci sarà sempre qualcuno che lo farà per noi. Bisogna essere consapevoli, però, del fatto che chi è al governo si giova di questa passività per controllare le masse, per condurci ad un pensiero unico, favorendo, quindi, lassoggettamento della popolazione.

In conclusione, la filosofia è uno strumento per giungere alla conoscenza - intesa questa come insieme di concetti e di nozioni immagazzinate nella memoria e, al tempo stesso, sottoposte al tribunale della ragione -, per evitare di essere controllati da un’élite dominante che si approfitta della passività della società odierna. In altre parole, occorre superare la pigrizia e la viltà di cui parlava Kant e riprendere i princìpi fondamentali dellIlluminismo, se vogliamo una società diversa, acculturata, onesta.

Traccia 3

Supponiamo dunque che lo spirito sia sempre per così dire un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto deposito che la fantasia industriosa e illimitata vi ha tracciato con varietà quasi infinita? Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall'esperienza. Su di essa tutta la nostra conoscenza si fonda e da essa in ultima deriva ("Saggio sull'intelletto umano", pag.133).

Il candidato commenti questo passo, sviluppando considerazioni di carattere sia teorico e sia argomentativo, prestanto particolare attenzione alla polarità esperienza-apriorismo nelle teorie della conoscenza a partire da Descartes e Locke.

Di Camilla Fuselli (sezione lingua spagnola)


El entendimiento de experimentar.

Me imaginaba un hermoso parque en el cual los colores mas felices y vivos abundaban el panorama. Era uno de esos momentos de la vida en lo que usamos el tiempo para nosotros mismos. Tiempo para pensar en los recuerdos, para reflexionar sobre nuestras ideas y para pensar en nuestras experiencias; porque con cada acción que llevamos a cabo, nos queda una experiencia. Creo que esta puede ser vista como un factor que nos ayuda a crecer y a entender la famosa visión "existencialista" del humano y el por qué de las cosas. 

Alrededor de 1630, nacía en Inglaterra un filosofo que se dedicaría a desarrollar la teoria del conocimiento (gneoseologia) y que a su vez, seria considerado el padre del empirismo moderno. Su nombre era John Locke, una figura filosófica revolucionaria y  relevante para la época.

Locke se contraponía al racionalismo moderno establecido previamente por Rene Descartes, autor del famoso concepto "cogito ergo sum", es decir que pienso, y luego existo; si pienso en una fuerza trascendental como Dios, significa que, desde el punto de vista de mi conciencia, existe.
Sumando contextos, podemos notar que Locke apoyaba la ideología de centrarse en hechos sólidos y reales basados en la experiencia para fijar su filosofía, mientras que, paulatinamente, soltaba las ideas criticas e incomprobables del mundo metafísico. Un hecho que refleja una evolución en el pensamiento. 

Si bien Locke y Descartes se contraponían en diversos ámbitos, también congeniaban en otros, como por ejemplo en que las ideas principalmente eran actividades provocadas por la mente. El primero subdividía las ideas en simples, que eran las que se encontraban en un estado de pasividad en relación al mundo externo y las complejas, vistas como una articulación de las ideas simples. El segundo, en cambio, las subdividía en innatas, es decir que prevalecen en nosotros antes de nuestro nacimiento, las aventicias, que provienen del mundo externo y las ficticias, elaboradas por el sujeto mismo.

De hecho, la filosofía empirista de Locke se acerca mas al pensamiento moderno y renovado de la actualidad en comparación a los pensamiento metafísicos efectuados por Descartes.

Pero, me cuestiono: ¿cómo pensar en un mundo filosoficamente paralelo cuyo objetivo sea generar ideas?
Distinto seria pensar en que este mundo se encuentra en nuestro intelecto. De este modo, nuevamente, hacemos referencia hacia la experiencia: este mundo ideal portador de ideas podría existir desde siempre, algo como las ideas innatas, pero lo que si podemos establecer con certeza es que no estuvo desplegado desde siempre, lo que me lleva a preguntarme: ¿que factor es el que conlleva al desarrollo de este mundo paralelo establecido por nuestro intelecto?... nada mas que la experiencia.
Como Locke expone en el ensayo "sobre la inteligencia humana", la experiencia es el lugar en el cual se propaga todo el material de la razón y de los conocimientos.

La experiencia, es el factor que nos permite entender hasta las cosas inentendibles como la vida, como el mismísimo ser humano.

Traccia 2

1 [514 a] – In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da [b] poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti [c] di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre [515 a] figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il [b] capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus!, [c] rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. – Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che cosí facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di [d] scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo piú vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi piú essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe piú vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose.  (Repubblica, 514 a-517 a)

Prendete spunto dal "mito della caverna" di Platone per una riflessione sul tema della conoscenza.  

di Mara Redonda ( sezione lingua spagnolo)


"La verdad entre sombras" 

Una pregunta muy frecuente en nuestras vidas es ¿ Cuál es la verdad? Es muy común que las personas crean que lo que ven, escuchan y sienten individualmente es la verdad. Vivimos en una sociedad que presenta un gran problema, creemos en verdades absolutas. Estas verdades no existen, porque como dijo Sócrates, la verdad es provisoria. Platón, un filósofo alumno de Sócrates, escribió sobre el mito de la caverna. El habla sobre unos hombres que están encerrados en una caverna oscura donde tan solo existe la luz del fuego. 
 Ellos creen que la única realidad que existe es esa caverna, una realidad muy pobre, una realidad entre sombras.
Cuando leemos este mito, en parte sentimos compasión por estos hombres que están destinados a vivir en la oscuridad, sin poder conocer la luz del día, sin poder conocer la luz de la verdad. Y nos preguntamos ¿Qué sentiríamos si viviéramos en tal vacío? ¿ Que pasaría si la verdad es que vivimos entre sombras? El mundo en que nosotros vivimos, no es muy distinto a esta caverna. En verdad, nuestro mundo no está físicamente lleno de sombras, pero si metafóricamente. En mi opinión, lo que quiso decir Platón con ese mito es que el hombre en sí es incapaz de conocer la realidad, es incapaz de conocer la totalidad del objeto, tan solo conoce el fantasma de esta. Es decir que por más que para nosotros sea muy significativo conocer la verdad de las cosas, por más que creamos poseer una verdad absoluta, solo poseemos una sombra de esta, una pequeña parte insignificante. Vivimos encerrados en una caverna subterránea, encadenados, mirando nuestros alrededores sin darnos cuenta que nuestra realidad no es la única, que mas allá de esos muros existe una realidad muy distinta a la que nosotros creemos verdad, que sin embargo siempre será sombra, porque según Platón la luz de la razón solo ilumina el mundo de las ideas, al mundo de la perfección.
En concesión, encuentro muy significativo cuan útil puede llegar a ser la filosofía para poder comprender las problemáticas de la sociedad en la que vivimos. en este caso, me ayudo a entender que nuestro mundo es una realidad entre sombras. 











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