Di Daniel Filoni
Oggi voglio prendermi il tempo per una buona e sana riflessione, lasciando da parte i miei studi (per qualche ora), i miei dubbi, la mia afflizione. Passando per Piazza Bologna ho incontrato una donna che mi ha dato da pensare. Non era una donna di quelle che ti stupisce subito per l’aspetto o il bel portamento, al cospetto dei quali ogni uomo potrebbe perderci il senno. Al contrario, le sue vesti erano consumate e logore, il corpo era molto formoso e laido. Tuttavia tale donna, non so per quale misteriosa combinazione, emanava una luce che, grazie alla sua presenza mite e solare, dava all’ambiente d’intorno quella grazia inconsueta e particolare che solo quegli esseri luminosi sanno conferire anche al più banale e semplice degli ambienti.
Stava sul ciglio della strada, quasi assorta dal rumore che la circondava. A passo di danza si muoveva con fare leggero e partecipato, canticchiando delle parole sconosciute e oscure. Era assorta, quasi assente, mentre danzava, accennava un saluto ad ogni passante, il quale con aria stupita la osservava in ogni suo minimo movimento. (Quale e quanto differente, allora, al mio sguardo, pareva il suo atteggiamento nei confronti della vita, rispetto anche al più sereno degli occidentali! E quanto, invece, mi sembrava vera e sana quella gioia, quella serenità, talmente viva e autentica era la sua aura solare).
Ma andando più a fondo, in tale riflessione, intuii che l’affare non era semplice da spiegare; quando d’improvviso, di colpo, afferrai l’importanza e la valenza della questione. Forse la situazione meritava veramente un’analisi particolare, dal momento che era impossibile pensare ad un tale essere come ad una donna qualsiasi. Non sbagliavo, quella immagine di luce non era semplicemente una donna, un di più incarnava quel corpo nero come la terra: la forza primigenia della vita, nella sua manifestazione. Quella donna era uno specchio, un’allegoria della vita, un’energia generatrice e produttrice di forme individuali. Era musica, somigliava alla danza primordiale. Alla cui musica certe tribù africane veicolano il significato altamente simbolico dei loro riti cultuali.
Si muoveva a passo di danza, senza essere supportata da nessuno strumento musicale. Lei era simile alla musica e al canto, di questa ne imitava la potenza dirompente delle emozioni, l’ebbrezza sonora. Certo, la cosa più strana, che continua tuttora a balenarmi nella mente, come un pensiero fisso, era il fatto che lei danzasse o si muovesse proprio senza nessuno strumento, e che accennasse a dei passi, supportata dal solo ausilio della musica, dalla pienezza del suo spirito interiore. (Quello stesso spirito non diverso dalla vis generatrice, che il tutto alimenta, come un fuoco sempre acceso, come una fiamma sempre viva). Sono convinto che se avessimo piantato un girasole o un gelsomino sotto la sua pelle, di certo, da questa, subito sarebbero germogliati una miriade di boccioli profumati e bellissimi. Che differenza c’è, d’altronde, tra un pezzo di terra fertile e vitale e una donna del genere? La stessa differenza che intercorre tra un poeta e un pittore, i quali pur essendo artisti si diversificano solamente per le loro differenti inclinazioni, attitudini, capacità particolari.
Un’altra delle caratteristiche che mi avevano colpito di tale essere erano sicuramente la dolcezza/innocenza del sorriso. Un sorriso vero, di vittoria della vita sul tempo. Come diversa pareva, al mio sguardo, la sua presenza, atipiche le sue doti caratteriali, al cospetto della donna italiana. Si potrebbe dire che tra questa e quella vige la stessa distanza che intercorre tra Urano ed il Sole. Come fredda, smorta, consunta, inoltre, mi sembra la donna italiana, continuamente persa nei suoi pensieri sperficiali. Oggi, magari, non è riuscita a trovare nel negozio preferito il paio di scarpe che desidera, oppure, la sua lavatrice si è rotta, rovinandole l'abito più bello, o ancora: il ragazzo le ha detto che stasera non potranno vedersi, a causa di chissà quale improvvisa vicissitudine. Quand’ecco vederla girare per la strada con un muso che tocca il terreno, con una faccia da funerale. Forse una misteriosa e oscura maledizione si abbatte su queste donne. Devono, tali donne, aver stretto con il Maligno un misterioso patto. Egli deve aver loro promesso molti premi. Ora hanno il dominio, ora stanno diventando il sesso più forte, più furbo; ma a quale prezzo è stato e sta avvenendo tutto questo? A quale condizione si stanno prendendo l’autorità per "la decisione"? Me lo immagino già l’astuto Angelo ribelle presentarsi loro in sogno: “Vedete io vi do tutto questo: la potenza, la forza, la furbizia, però in cambio vi chiedo soltanto piccole cose: la femminilità, la dolcezza, i vostri teneri sentimenti. Non vi pare che sia questo un ottimo compromesso?”
Oggi voglio prendermi il tempo per una buona e sana riflessione, lasciando da parte i miei studi (per qualche ora), i miei dubbi, la mia afflizione. Passando per Piazza Bologna ho incontrato una donna che mi ha dato da pensare. Non era una donna di quelle che ti stupisce subito per l’aspetto o il bel portamento, al cospetto dei quali ogni uomo potrebbe perderci il senno. Al contrario, le sue vesti erano consumate e logore, il corpo era molto formoso e laido. Tuttavia tale donna, non so per quale misteriosa combinazione, emanava una luce che, grazie alla sua presenza mite e solare, dava all’ambiente d’intorno quella grazia inconsueta e particolare che solo quegli esseri luminosi sanno conferire anche al più banale e semplice degli ambienti.
Stava sul ciglio della strada, quasi assorta dal rumore che la circondava. A passo di danza si muoveva con fare leggero e partecipato, canticchiando delle parole sconosciute e oscure. Era assorta, quasi assente, mentre danzava, accennava un saluto ad ogni passante, il quale con aria stupita la osservava in ogni suo minimo movimento. (Quale e quanto differente, allora, al mio sguardo, pareva il suo atteggiamento nei confronti della vita, rispetto anche al più sereno degli occidentali! E quanto, invece, mi sembrava vera e sana quella gioia, quella serenità, talmente viva e autentica era la sua aura solare).
Ma andando più a fondo, in tale riflessione, intuii che l’affare non era semplice da spiegare; quando d’improvviso, di colpo, afferrai l’importanza e la valenza della questione. Forse la situazione meritava veramente un’analisi particolare, dal momento che era impossibile pensare ad un tale essere come ad una donna qualsiasi. Non sbagliavo, quella immagine di luce non era semplicemente una donna, un di più incarnava quel corpo nero come la terra: la forza primigenia della vita, nella sua manifestazione. Quella donna era uno specchio, un’allegoria della vita, un’energia generatrice e produttrice di forme individuali. Era musica, somigliava alla danza primordiale. Alla cui musica certe tribù africane veicolano il significato altamente simbolico dei loro riti cultuali.
Si muoveva a passo di danza, senza essere supportata da nessuno strumento musicale. Lei era simile alla musica e al canto, di questa ne imitava la potenza dirompente delle emozioni, l’ebbrezza sonora. Certo, la cosa più strana, che continua tuttora a balenarmi nella mente, come un pensiero fisso, era il fatto che lei danzasse o si muovesse proprio senza nessuno strumento, e che accennasse a dei passi, supportata dal solo ausilio della musica, dalla pienezza del suo spirito interiore. (Quello stesso spirito non diverso dalla vis generatrice, che il tutto alimenta, come un fuoco sempre acceso, come una fiamma sempre viva). Sono convinto che se avessimo piantato un girasole o un gelsomino sotto la sua pelle, di certo, da questa, subito sarebbero germogliati una miriade di boccioli profumati e bellissimi. Che differenza c’è, d’altronde, tra un pezzo di terra fertile e vitale e una donna del genere? La stessa differenza che intercorre tra un poeta e un pittore, i quali pur essendo artisti si diversificano solamente per le loro differenti inclinazioni, attitudini, capacità particolari.
Un’altra delle caratteristiche che mi avevano colpito di tale essere erano sicuramente la dolcezza/innocenza del sorriso. Un sorriso vero, di vittoria della vita sul tempo. Come diversa pareva, al mio sguardo, la sua presenza, atipiche le sue doti caratteriali, al cospetto della donna italiana. Si potrebbe dire che tra questa e quella vige la stessa distanza che intercorre tra Urano ed il Sole. Come fredda, smorta, consunta, inoltre, mi sembra la donna italiana, continuamente persa nei suoi pensieri sperficiali. Oggi, magari, non è riuscita a trovare nel negozio preferito il paio di scarpe che desidera, oppure, la sua lavatrice si è rotta, rovinandole l'abito più bello, o ancora: il ragazzo le ha detto che stasera non potranno vedersi, a causa di chissà quale improvvisa vicissitudine. Quand’ecco vederla girare per la strada con un muso che tocca il terreno, con una faccia da funerale. Forse una misteriosa e oscura maledizione si abbatte su queste donne. Devono, tali donne, aver stretto con il Maligno un misterioso patto. Egli deve aver loro promesso molti premi. Ora hanno il dominio, ora stanno diventando il sesso più forte, più furbo; ma a quale prezzo è stato e sta avvenendo tutto questo? A quale condizione si stanno prendendo l’autorità per "la decisione"? Me lo immagino già l’astuto Angelo ribelle presentarsi loro in sogno: “Vedete io vi do tutto questo: la potenza, la forza, la furbizia, però in cambio vi chiedo soltanto piccole cose: la femminilità, la dolcezza, i vostri teneri sentimenti. Non vi pare che sia questo un ottimo compromesso?”
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