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L'elogio della storia

                                                                                                                                         di Daniel Filoni




Se a coloro che hanno esposto prima di noi fatti storici fosse avvenuto di tralasciare l'elogio della storia stessa, sarebbe forse necessario esortare tutti a scegliere e apprezzare tali opere, poiché non c'è per gli uomini un mezzo di correzione più disponibile della conoscenza dei fatti passati. Ma poiché non solo alcuni uomini, né in modo limitato, ma tutti, per così dire, hanno fatto di questo l'inizio e la conclusione, ribadendo che la più autentica educazione e il più autentico addestramento all'azione politica è l'apprendimento tratto dalla storia, e che il più efficace, anzi il solo maestro di come si possono sopportare con forza d'animo i mutamenti della fortuna è il ricordo dei rovesci altrui, è chiaro che nessuno potrebbe pensare di dover ripetere quanto è stato detto bene e da molti, e noi meno di tutti.

                                                            (Polibio, Storie, Libro primo, 1, 5-6)



L'onorarietà ha come risvolto la graduità. I magistrati repubblicani vivono per la politica, non di politica. Ciò che ricavavano dal loro servizio poteva quindi misurarsi in termini di autostima e di prestigio sociale, non di reddito, se si eccettua il non irrilevante diritto di gestire la preda bellica, a fini d'utilità pubblica. Non percepivano una remunerazione e, a partire dal momento in cui le conquiste transmarine li misero in condizione di trarre private utilità a spese dei provinciali, l'arricchimento fu proibito da leggi de repetundis sempre più rigorose, a tutela delle popolazioni sottomesse e anche degli equilibri interni alla classe dirigente.

                                              (Mantovani, Introduzione alla storia romana, pag, 236)



Durante la notte duemila uomini, per lo più originari di Fermo nelle Marche e comandati da Catone, risalirono le montagne nascosti dal buio di un cielo senza luna e al mattino, quando era iniziato già il combattimento tra i due eserciti, piombarono alle spalle della falange dei siriaci che in un primo momento non si spaventarono, pensando che fossero i loro alleati Etoli. Quando si accorsero di essere attaccati sia di fronte che di spalle, non potendosi articolare su due fronti perché la falange è un corpo rigido, si diedero tutti alla fuga. Antioco con cinquecento supersistiti si salvò, diecimila soldati furono uccisi o fatti prigionieri, mentre i Romani persero solo centocinquanta uomini: più che una battaglia era stato un massacro. 

                                             (Forabaschi, introduzione alla storia romana, pag, 102)



Il 22 Giugno del 168 a.C. a Pidna, in Macedonia, si fronteggiarono ancora la falange greca e le legioni romane comandate dal console Lucio Emilio Paolo. Perseo venne sbaragliato e il regno di Macedonia finì per sempre. Ma, significativamente, il vincitore si comporterà come se fosse un greco: festeggerà la vittoria nella colonia ateniese di Anphipolis, a Delfi si farà costruire una statua equestre, con il cavallo impennato, e si concederà un grande viaggio attraverso la Grecia: la Grecia vinta trionfava con la sua cultura.

                                            (Forabaschi, introduzione alla storia romana, pag, 104)



Nel 168 a. C. Antioco quarto invase ed occupò l'Egitto. Secondo Livio bastò però l'arrivo di un'ambasceria romana ad umiliarlo nel noto episodio del "cerchio di Popilio": una piccola ambasceria condotta da Popilio Lenate andò incontro al re e alle sue truppe imponendogli la ritirata; quando il re chiese di consultare il consilio della corona, Popilio gli tracciò con un bastone un cerchio sulla terra e gli disse di decidere prima di uscire dal cerchio; Antioco cedette e si ritirò, lasciando - dopo qualche tempo - tutto l'Egitto. La potenza di Roma era tale che non richiedeva nemmeno il dispiegamento della forza militare. 

                                          (Forabaschi, introduzione alla storia romana, pag, 103)



*Immagine: Affreco nella domus di Polibio, Ercolano.  








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