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La religione romana. Una dialettica tra innovazione e subordinazione.

Gli elementi culturali viaggiano, ma non dappertutto e  non   in qualsiasi momento suscitano quelle risposte creative che consistono nella formazione di  nuove e originali civiltà.
                                                                                                                              (Angelo Brelich)



I termini antitetici innovazione, originalità/subordinazione, conservazione, assumono un significato fondamentale per quanto riguarda la religione romana. Se proviamo a ripercorrere tutto il cammino che gli studi storico-religiosi hanno compiuto nel corso di secoli, possiamo osservare che i concetti principali di cui si sono occupati tendono a confluire nel senso di questi due termini: innovazione e subordinazione. Sicché, nonostante le numerose e divergenti prese di posizione da parte degli storici, nelle scienze dell’antichità è ancor viva l’annosa questione riguardante la presunta autonomia della religione romana al cospetto di quella greca.

Fino al secolo scorso era un luogo comune che la religione romana dipendesse da quella greca per i suoi caratteri fondamentali: gli stessi miti, le stesse divinità, caratterizzavano ambedue le religioni. Ma la questione è sicuramente più complessa. Questo tema — data la sua umbratilità — ha suscitato numerose domande tra gli specialisti. La religione romana presenta caratteri autonomi o dipende dalla religione greca nella sua totalità? La religione romana si sviluppa solo in seguito all’influenza della religione greca, o, piuttosto, aveva caratteri propri già prima delle contaminazioni e delle irradiazioni che dal mondo greco le provenivano? Questa è il punto, poco chiaro, rispetto al quale questo intervento si propone di far luce.

Solo nell’ultimo secolo, per opera di studiosi del valore di Th. Mommsen e in particolare di Georg Wissowa — la cui monumentale monografia sulla religione romana risale al 1912 — si è riusciti ad approfondire e a delineare analiticamente la questione. Wissowa fu colui che meglio di altri studiosi cercò di individuare quel che della religione romana proveniva dal mondo greco da ciò che invece era autenticamente romano. Wissowa, con un’analisi dettagliata, mise in risalto il grande influsso greco — in particolare del periodo ellenistico — con tutti i relativi stravolgimenti culturali che questo procurò alla cultura romana. Però a forza di subordinare elementi di quest’ultima alla greca della “religio” romana finì col rimanere ben poco.

Negli anni Trenta del secolo scorso una reazione guidata da F. Altheim cercò di capovolgere questa posizione. Contrapponendosi alla tesi di Wissowa, Altheim sostenne che l’influsso greco sulla religione romana iniziò già molto tempo prima del periodo ellenistico, ossia anteriormente alla formazione della civiltà romana stessa. Questa posizione di Altheim tuttavia, precisa da un lato ed eccessiva dall’altro (per la sua radicalità), viene considerata una posizione di mediazione tra la svolta segnata dal libro precedente (Wissowa) e i risultati raggiunti con i lavori di studiosi a noi più vicini. Quanto, allora, della religione romana può dirsi autenticamente romano? Quanto invece la religione romana deve al grande influsso ellenistico avvenuto attorno al secondo secolo prima di Cristo?

In effetti, neanche la religione greca, come tutte le civiltà del basso Mediterraneo, è del tutto autonoma e risente dei grandi influssi provenienti dalle culture vicine.

La religione greca non ha testi sacri (come la Bibbia o il Corano), e non possiede alcuna letteratura prettamente religiosa. Tuttavia i greci hanno i poeti, i quali nella fase arcaica ricoprono un ruolo attinente alla sfera del sacro. I poeti scrivono sotto l’ispirazione delle Muse, di cui essi stessi sono come i portavoce. La loro poesia è totalmente ispirata: è la divinità stessa che parla (nella maggior parte dei casi si tratta del dio Apollo) per bocca dei poeti, i quali non fanno altro che trascrivere la volontà e le intenzioni degli dei stessi.

Peraltro, la religione greca, come le altre religioni del basso Mediterraneo, possiede il proprio pantheon. Nella forma luminosa del pantheon greco e nella dipendenza dai suoi miti si palesa in modo esplicito la subordinazione di Roma alla Grecia.

I romani condividevano con i greci le stesse divinità e gli stessi miti, sicché soltanto con un difficile lavoro degli storici si è potuta ricostruire la genesi della religione romana.

Nell’ottavo secolo a. C. la civiltà di Roma inizia a fiorire e a svilupparsi. Anche la civiltà etrusca inizia a svilupparsi nello stesso torno di tempo. Gli etruschi fioriscono come popolazione attorno all’ottavo secolo a. C., venendo a contatto con Roma e con le altre popolazioni che vivono sul territorio dell’Italia centrale. Tuttavia, nonostante questa grande vicinanza al mondo greco (spaziale e culturale), la religione etrusca, pur mantenendo una sostanziale convergenza con il cosmo degli dei greci, presenta, nella sua forma, peculiarità e tratti affini alle grandi religioni del vicino Oriente: particolari sistemi divinatori, presenza di libri sacri e la straordinaria importanza attribuita al mondo dei morti.

Roma, nel suo sviluppo, risente da un lato (nord) della spinta e dell’influenza della cultura etrusca, e dall’altro (sud) del grande influsso della civiltà greca. Malgrado questi rapporti — che determineranno nel corso degli anni importanti mutamenti — Roma rimane una città-stato con le proprie tradizioni e i propri riti. Le feste pubbliche saranno sempre celebrate negli stessi luoghi dell’antica Roma, e i sacerdozi resteranno quelli vigenti nel periodo arcaico.

Si ha un mutamento di grande portata soltanto nel terzo secolo a. C., quando cambia repentinamente la situazione politica. Roma viene a contatto con la civiltà ellenistica, e anche la sua tradizione arcaica pare trasformarsi. In seguito, una volta annessa la Grecia all’interno dei propri territori, Roma ne assorbe anche la cultura. Sicché, solo in virtù di una tale svolta, la civiltà romana subisce un cambiamento radicale e a Roma approdano la filosofia, la letteratura, la medicina, l’astronomia e ogni sorta di sapere erudito.

Anche Roma ha una religione politeistica, anche Roma al pari della Grecia possiede il proprio pantheon. Sta bene sottolineare però che la religione romana, nonostante le irradiazioni provenienti dal mondo greco, possiede caratteri peculiari del tutto autonomi.

Il documento più importante che attesta tale peculiarità è il “calendario festivo arcaico”.

Anche se i romani dell’epoca arcaica non facevano letteratura, però sapevano già scrivere. Gli storici riferiscono di fondazioni di culti e celebrazioni isolate di riti. Nella tarda Roma è presente anche un’erudizione antiquaria, che si interessa dei documenti del passato, per trascrivere e conservare le notizie intorno ai fatti accaduti.

Oggi si ritiene che il calendario romano sia il più antico documento religioso dei romani. Questo documento presenta inoltre una miriade di informazioni su feste, culti e riti. In esso sono illustrate le feste del Palatino, del Quirinale, quelle del Foro e del Capitolium.

Riferendosi all’aspetto particolare delle idi e delle calende, il calendario mostra il carattere lunare dei mesi. Gennaio e febbraio sono considerati dai romani mesi importantissimi. Sono quei mesi che precedono l’avvento del nuovo anno e simbolizzano il tempo del passaggio dal vecchio al nuovo. Ma il tratto più peculiare della religione romana, quello che ne fa davvero una religione autonoma, è relativo ai riti e ai sacerdozi.

I rituali festivi ci sono noti solo dalle fonti letterarie, di cui ricordiamo I fasti del poeta Ovidio, anche se la loro provenienza, come è stato accertato dalle fonti storiche, risale certamente al periodo arcaico. La caratteristica principale di questi riti cultuali è di aver mantenuto dall’antichità una struttura costante nel tempo.

I boves fordae nei quali si uccidevano vacche gravide; il Regifugium, nel quale il rex sacrorum fuggiva dal comizio dopo aver celebrato un sacrificio; i Lupercalia che si svolgevano nella grotta detta Lupercal: tutti questi riti erano presieduti dai sacerdoti, che agivano in base alle loro cariche e alle loro competenze. Quello del sacerdozio a Roma è senza dubbio il tratto più caratteristico, ciò che distingue questa religione da quella greca, tanto che si potrebbe dire che il sacerdozio stesso fa della religione romana una religione autonoma.

A Roma c’era una grande varietà di sacerdozi pubblici, ognuno con caratteristiche diverse. I pontefici erano gli esperti della religione in generale. A capo di questi sacerdoti c’era il pontifex maximus, che era ritenuto il più importante di tutti.

Del collegio pontificio facevano parte: il rex sacrorum, che celebrava pochi riti, data la sua importanza; i Flamini e le Vestali. Un altro ruolo importante era ricoperto dagli augures, incaricati di capire i segni divini e di elargire responsi. Altri erano “ i dieci o quindici uomini del fare sacro”, che consultavano i libri sibillini, con il compito di prevedere e prevenire l’ordine degli eventi.

Ruoli fondamentali, invece, erano quelli ricoperti dai Flamini e dalle Vestali. Le vestali erano sei, avevano il compito di curare il focolare dello stato ( sul foro, sotto il Palatino).

Queste venivano scelte — capte — e sorteggiate dal Pontefice Massimo, che aveva su di loro una grande autorità. Se qualcuna delle vestali compiva errori gravi (perdita della verginità e spegnimento del fuoco sacro) poteva essere punita anche con la morte.

La festa relativa alla dea Vesta, che aveva luogo nel periodo antecedente alla mietitura, era una festa per l’agricoltura. Questa festa veniva preceduta da riti di purificazione, nei quali si svolgeva la pulizia annuale del tempio. Già in maggio le vestali raccoglievano il farro (cereale molto importante nella società arcaica romana), con il quale preparavano la “mola salsa”, che serviva per ricoprire le vittime prima del sacrificio.

I flamini invece erano quindici, ognuno con proprie peculiarità, ciascuno al servizio di una singola divinità. Tra i quindici i maggiori sono tre: quelli che erano al servizio di Giove, di Marte e Quirino. Il flamen Dialis (di Giove, il più importante) viveva in uno stato di festa perenne: non lavorava e non doveva veder lavorare gli altri, era preceduto da inservienti che gli liberavano la strada. Tuttavia proprio per questo carattere esclusivo, egli era sottoposto a numerosi tabù. Non poteva sentir pronunciare il nome di certi animali, non poteva allontanarsi da Roma per più di tre notti, non doveva avere nodi e lacci alle vesti; ma soprattutto, non doveva vedere nessun sepolcro.

Un altro compito del flamen Dialis era quello di abbattere le barriere tra il sacro e il profano (contingente), dando responsi e stringendo relazioni con il mondo dei morti.

Inoltre, sempre per quel che riguarda il sacerdozio, la sistemazione dei luoghi di culto e la vita dei sacerdoti assegnati alle singole divinità creava uno spazio autonomo e differenziava le singole divinità.

Ancora un altro problema: la questione relativa ai miti romani. Tutti i miti romani sono miti greci, trasposti però sulle divinità romane. Anche l’arte, la letteratura e la poesia romana erano strettamente connesse al mondo degli dei greci. Questi, dunque, sono gli elementi cultuali che maggiormente fanno pensare alla subordinazione massiccia di Roma rispetto alla Grecia: Graecia capta ferum victorem cepit.

Ma la questione della contaminazione è ben altrimenti complessa. Ora il punto è vedere in che cosa la religione romana si differenzi e in cosa possa essere accomunata a quella greca. Ai fini di una maggiore chiarezza tenteremo una sommaria schematizzazione.

La religione romana sembra dipendere da quella greca per quel che concerne: pantheon (gli dei), miti, arte, letteratura. La religione romana si differenzia, invece, per i caratteri peculiari apparsi nel periodo arcaico: sacerdozi, riti e calendario arcaico.

Se da un lato la religione romana risulta aperta a continue innovazioni, d’altro, però, essa, nonostante la disponibilità ad aprirsi a nuovi influssi, rimane estremamente conservatrice. Anche quando Roma avrà un impero, la sua forma religiosa resterà molto simile a quella professata nel periodo arcaico. Le antiche feste saranno sempre celebrate nelle stesse date, negli stessi luoghi e dagli stessi sacerdoti. Roma conserverà sempre la sua forma religiosa tradizionale, fino all’avvento del cristianesimo, che ne sconvolgerà la struttura e ne cancellerà le antiche istituzioni.

— Al di là della teoria poligenetica e di quella monogenetica intorno all’origine delle civiltà — in forza dell’analisi appena compiuta potremmo dire che, la questione non si può risolvere né a favore di una totale originalità né per una subordinazione schiacciante.

Per la religione romana, si dovrebbe parlare di una compenetrazione, di una sostanziale fusione tra questi due termini. Sicché qui innovazione e subordinazione, ad un occhio critico, appariranno sempre in rapporto di tensione, dialettico, all’interno del quale ognuno dei due elementi resterà un punto imprescindibile ai fini di una interpretazione dell’intero cosmo religioso di Roma.

Daniel Filoni

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