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Bobbio e il Pci.

Bobbio e il Pci. Legame che è parte della storia d’Italia.  È vero, quel rapporto inizia già nel dopoguerra e si protrae negli anni in cui il Pci non c’era più, e il nostro quotidiano non era più organo di partito. E però il far data dal 1982 ha il valore di riepilogo maturo e consolidato di un atteggiamento mai dismesso da Bobbio, verso il comunismo e il post-comunismo italiano. E cioè: una strategia dell’attenzione maieutica. Verso una forza emancipativa di massa, il Pci, da Bobbio ritenuta cruciale per l’Italia moderna. Strategia che entra nelle carni e diviene «ascoltata» da quel Pci. Fino a risultare un ingrediente essenziale della futura svolta Pci-Pds del 1989, nonché asse portante del tentativo di imprimere identità a tutto ciò che seguì quel 1989 (che lo sia diventato poi «asse», è un altro discorso).
 
Che cosa significa «maieutica»? Nient’altro che tenacia socratica, da parte di Norberto Bobbio. Tenacia attiva su punti chiave da stimolare nell’identità comunista, così come era venuta maturando lungo tutto il dopoguerra. La democrazia innanzitutto, e il rapporto politica e cultura. E poi ancora: il rapporto con l’Urss, con il marxismo, con il diritto. E quello con la pace, per Bobbio valore irrinunciabile e non «strabico», da non confondere con gli schieramenti di campo ideologici, benché da misurare con il realismo delle condizioni date. Un realismo che a tratti faceva disperare Bobbio sulla possibilità di brandire «senza se e senza ma» quel valore, pure a suo dire assoluto e indeducibile, se non da un atto di fede o di «etica dell’intenzione». Ricapitoliamo allora. Da un lato Norberto Bobbio, filosofo del diritto torinese, passato dal gius-positivismo di Hans Kelsen a una visione funzionalista e di sinistra del diritto, insoddisfatta del puro formalismo borghese, che non teneva contro dello Stato sociale e dei suoi diritti espansivi. Dall’altro il Pci di Togliatti, approdato alla democrazia progressiva, gradualista, in bilico tra i due blocchi e speranzoso nella distensione geopolitica (ma pur sempre col baluardo sovietico sullo sfondo). La sfida di Bobbio reiterata sempre - anche negli scritti degli anni 80 che riproponiamo - consiste in questo: la democrazia presa sul serio. Con tutti gli annessi e connessi. E democrazia presa sul serio contro visioni formaliste e censitarie dei diritti. E contro visioni totalitarie e finalistiche dell’emancipazione, inclusa quella comunista. Ai comunisti italiani Bobbio chiederà di continuo: che idea avete dello stato? Delle libertà? Del pluralismo? Del conflitto? Della cultura? E che idea avete del mutamento e della pace?

Le risposte non mancarono da parte comunista. Specie in una celebre disputa su «Politica e cultura» dei primi anni 50, poi riassunta con le controrepliche di Bobbio in un volume Einaudi dei primi anni 50. E le risposte erano più o meno «rassicuranti». Cioè: la cultura è un campo egemonico di interessi in lotta, autonomamente trasferiti in formazioni ideali e di pensiero. Perciò, così Toglitti e della Volpe, massima libertà per tutti, ma primato della spinta liberatoria ed emencipativa incarnata dalla classe operaia e dai suoi «intellettuali progressisti». Lungo la falsariga di un marxismo gramsciano e non meccanico o rozzo. No, replicava Bobbio: la cultura è autonoma. È una funzione universale dell’intelletto, che si coniuga con gli interessi e vi si mescola pure. Come la scienza empirica, di cui a suo modo e con i suoi metodi, riproduce la libertà non asservita (almeno idealmente). Stesso discorso in Bobbio per la democrazia. campo di conflitti sì per il filosofo. Ma campo perenne e non superabile da plebisciti, consenso populista o filosofie della storia che estinguano la rappresentanza e le sue «regole».
Era questa in fondo, fin dagli anni 50, l’idea della democrazia come «valore universale» fatta proprio da Berlinguer venti anni dopo. Talché la democrazia, come il diritto, per Bobbio, erano tecniche non superabili di esercizio della sovranità popolare, in una con le garanzie per le minoranze. E con la possibilità sempre data per esse di diventare maggioranza. In pratica era il concetto dell’«alternativa» come meccanismo di ricambio e fisiologia della democrazia(che fosse bipolare o maggioritaria secca è altro discorso, che Bobbio non toccava). Dunque, concordia e discordia tra Bobbio e il Pci, ma in ogni caso sintonia, documentata benissimo nell’antologia on line che vi proponiamo. Perché? Lo abbiamo accennato. Via via che gli anni passano il Pci si avvicina a idee sempre più affini a quelle di Bobbio, sino al punto da farle proprie.

Certo, il Bobbio degli anni 80 non condivide il compromesso storico, e giustappunto è per un’ alternativa riformista di sinistra, nel solco del liberalsocialismo (del quale all’inizio pensò di ravvisare un campione in Craxi, salvo ricredersi). E ancora: Bobbio è contro la «terza via» di Berlinguer, contro l’Eurocomunismo. Crede infatti nella socialdemocrazia. Benché avanzata. E basata sui diritti sociali. Persino con momenti di democrazia diretta nella società civile (ma col primato del Parlamento). Tuttavia il pungolo non si ferma, incalza e costringe i comunisti a farci i conti. Resterebbero tante altre cose da dire. La pace, l’Ungheria, la «guerra giusta», punto questo sul quale Bobbio fu capace di autocritica (non giusta ma «giustificata», si corresse). E resterebbe da dire del giudizio finale di Bobbio sul comunismo crollato: un’utopia fallita con dietro però domande e bisogni attuali. Infine, le polemiche che amareggiarono l’ultimo Bobbio. La scoperta mediatica delle sue debolezze rispetto al regime fascista, che da studioso non contrastò e che anzi tentò di «rabbonire» quando nel 1935 finì nel suo mirino(con gli azionisti torinesi). Pagina amara, che il filosofo affrontò con onore e dignità, senza infingimenti e con estrema crudeltà autocritica. Ne troverete i passaggi nello «speciale» del 19/1/2004 che allora dedicammo alla lezione di Bobbio («Bobbio spiegato da Bobbio»). Lì, ancora una volta su l’Unità, c’è tutto ciò che Bobbio ha detto e pensato in «politica e cultura». Leggetelo, stampatevelo e conservatelo. Vi servirà, ci servirà, in tempi di pensieri deboli, voltagabbana e prepotenti «forti»». Che vorrebbero distruggere tutto quel che Bobbio, «compagno» e maestro ha voluto e pensato per l’Italia.

Bruno Gravagnuolo

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