La
natura ha la propria bellezza in ciò, che sembra dire di più di quel
che essa è. Strappare questo di più alla sua contingenza, impadronirsi
della sua apparenza, determinarla in quanto apparenza per se stessa,
anche negarla come irreale, è l'idea dell'arte.
(Th. W. Adorno)
(Th. W. Adorno)
Pro Amorales
Oggi sono andato al Palazzo delle Esposizioni a vedere l’opera di
Carlos Amorales. Senza alcun dubbio, Amorales è un ottimo artista, e
merita il nostro rispetto. C’è del talento nella disposizione,
nell’attuazione delle sue installazioni e performance. Amorales va oltre
la piattezza del suo periodo storico, sperimentando e trovando
soluzioni innovative, per le sue opere. Le sue opere assumono valore,
quando avvicinandoci a esse, queste ci parlano in modo vivido e chiaro
della loro esistenza fenomenica. Cosi, una grande conquista di Amorales
consiste nel sapersi muovere nello spazio empirico. La mostra si
intitola Remix, lo spazio è aereo, ci si muove con leggerezza
all’interno delle stanze; a contatto con queste istallazioni si ha quasi
la sensazione di volare, di sfidare il principio di gravità imperante.
Queste opere sono fatte di un materiale scadente, cartoncini, plastiche e
tuttavia non danno l’impressione di essere dei materiali di uso comune.
La riconquista dello spazio fenomenico, questo giocare con le forme, la
potenza visionaria e poetica fanno di Amorales un artista, capace di
parlare un linguaggio innovativo, di contro allo scheletrico e bulimico
ambiente artistico occidentale. In Amorales la plastica diventa nobile,
un frammento liberato dalla materia nello spazio cosmico e infinito.
Pare che queste performance abbiano a che fare con la musica, e
di questa ne imitino la forza dirompente e segreta, con semplicità,
senza sforzi sovrumani. Nella galleria grande il disegno “El estudio por
la ventana” fa da sfondo all’istallazione “Drifting Star”, in cui i
settecentocinquantuno frammenti sono sospesi nello spazio.
L’impressione, all’interno dello spazio performativo, è quella di
assistere alla magica sospensione del tempo. La materia frammentaria è
rappresentata, magnificamente, nell’attimo successivo in cui la sua
energia interna viene fatta detonare, dando in tal modo la sensazione
allo spettatore di poter catturare con un solo sguardo questa materia
disintegrata, e ciò desta meraviglia. Si vive, si fruisce uno spazio
cosmico, infinitamente grande e sconvolgente. L’uomo si muove
all’interno di questo universo infinito, anche se molto spesso se ne
dimentica; questa istallazione ha il merito di ricordarcelo, ci proietta
all’interno del cosmo, ci rende leggeri e infinitamente piccoli, come
questi frammenti. E questi piccoli frammenti non stanno fermi, danzano,
riflettono lo spazio d’intorno, si fanno spazio. Nelle sala successiva
si trova invece l’istallazione “Black Cloud”. Dove la miriade di
farfalle nere, che occupano le pareti, sembrano ideate con ingegno, con
grande leggerezza poetica. Queste farfalle non sono più farfalle, ma
un’allegoria delle forza collettiva, della molteplicità degli individui
sparsi nelle metropoli, intenti nelle loro vicissitudini. Piccoli
oggetti, come piccoli uomini e piccole donne immersi in uno spazio
gigantesco, incommensurabile. Le ali non si muovono, ma la farfalla è li
pronta a spiccare il suo volo alla prima occasione, al primo soffio di
vento. Il vento forse non soffierà, le farfalle di fatto sono nere, ma
già la loro presenza sulla scena è un motivo di speranza, di
partecipazione al flusso delle vita. Solo la vita resta a questi piccoli
esseri, come per gli uomini.
Una vita caotica, frammentaria, spesso insensata, come lo è il dolore. I giorni trascorreranno e questi esseri saranno ancora lì, pronti a cogliere al balzo le occasioni che questa esistenza, spesso meschina e avida, gli sottoporrà. Allora, dal momento che siamo vivi: “perché temere il futuro?”.
Contra Amorales
Che Amorales sia un giovanotto molto simpatico e ben educato non ci vuole poi tanto a scoprirlo. Basta ascoltare per un attimo le sue conferenze che subito tale impressione ci balena davanti. Piacevole è starsene lì, magari assorto su un banco di scuola, ad ascoltare le sue parole. Certamente una calma solare domina il suo occhio, e i suoi discorsi rispecchiano la fluidità celeste del suo animo. La tranquillità con cui si relaziona alla folla degli spettatori è segno palpabile della capacità con cui domina la sua arte. Inoltre, la sua infanzia fu di sicuro costellata da momenti toccanti e indimenticabili. Ma qui è di opera d’arte che vogliamo parlare! Certo, dopo l’oggettualizzazione del fenomeno artistico, dovuta proprio al sopraggiungere delle opere di una certa avanguardia, tutto è lecito. Che tutto possa diventare un’opera d’arte però desta qualche sconforto. Nietzsche, già cento cinquanta anni fa all’incirca, con geniale intuito, sosteneva dal canto suo che, l’Occidente artistico stava avvicinandosi inesorabilmente verso l’opera d’arte oggettuale: “il mondo del museo delle cere”. Anche se questa previsione rende molto bene l’idea del periodo storico che stiamo vivendo, tuttavia una riflessione intorno all’universo del mondo dell’arte contemporanea è d’obbligo. Dal momento che ci troviamo davanti, ogni giorno, a opere sempre più particolari e indecifrabili.
Posto che anche il mondo dell’arte come quello fenomenico sia dominato da questo continuo fluire di metodi e di idee, tentare di trovare definizione stabili, è ciò che io chiamo (parafrasando una nota espressione di C. Kahn) la fallacia della trasparenza, il tentativo di ridurre ogni “fatto” a sistema cristallizzato. Forse un buon metodo, per venire a capo di questo spinoso problema, è, invece, quello di prendere in considerazione direttamente le opere, passandole al vaglio della critica, senza però sistematizzarle in nessuna categoria predefinita. Anche questo approccio lascia comunque molti problemi irrisolti.
Ora vorrei soffermarmi, invece, su un’altra questione, che credo sia di eguale importanza, quella relativa alle modalità con cui l’opera d’arte contemporanea si relaziona al mondo delle tecniche scientifiche. Allora, come la produzione artistica contemporanea si pone nei confronti del mondo delle tecniche e delle scienze? Qual è inoltre il ruolo che l’artista assume a dispetto della macchina, all’interno del processo creativo? Sarà lui il creatore, o lui è il creato?
Come dicono in molti e non errano, il problema in teoria non dovrebbe neanche essere posto, dal momento che l’artista non è il creatore di un bel niente! Va bene, tutto questo è concesso. Vero, l’artista è solo un medium all’interno del processo artistico. Ma che c’è di artistico, dico io, nel creare un archivio d’immagini e inserirle in un computer? Dov’è finito il genio dell’artista, la sua immaginazione sconfinata, che mette a soqquadro ogni regola o andamento della vita? Dov’è finita quella potenza visionaria, cosmica, panteistica, che tutto prende e trascina nel suo vortice? La dedizione al caos, alla tempesta, al pathos dionisiaco. Tutto è diventato meccanico, robotico, disumano. Purtroppo siamo costretti, anche se con il cuore in frantumi, ad accettare tale fenomeno, visto che in questo mondo ci viviamo. Siamo nell’epoca della piattezza inventiva, della mediocrità del gesto, dell’insignificanza della genialità. Sulla scia di tale malefico “manifesto”, dunque, molte trasformazioni stanno avvenendo nel mondo dell’arte e nell’animo degli artisti. L’opera d’arte contemporanea, da qualche decennio, con inesorabile determinatezza, si è avviata verso “la conquista” della sua riproducibilità tecnica. Le brillanti riflessioni, a proposito, di W. Benjamin ci si stagliano davanti come un grandioso edificio, insormontabile. Allora, calma piatta! A nessuno sia più concesso di dar sfogo e libertà alla sua immaginazione creativa, a nessuno venga in mente di produrre, attraverso un particolare lavoro sulla forma, un’opera d’arte che produca un qualcosa di spirituale. Tutto è stato già fatto, tutto già detto e il mondo è in rovina!
Poste queste premesse, allora, ci scorrono davanti agli occhi le opere degli artisti contemporanei, come quella di Amorales. E qualche interrogativo ce lo poniamo, dal momento che Amorales pur facendo il pittore, come lui stesso sostiene, non ha un gran talento pittorico. Il talento e la creatività oggi sono un gran bel problema! Forse un aspetto dell’arte che a qualcuno dà molto fastidio! Saremo tutti più contenti. Visto che eliminato il talento sarà eliminata anche l’invidia che ruota intorno a questi strani esseri che qualcuno, un tempo, ha chiamato artisti. Eppure, non sto negando che nelle forme di Amorales non ci sia niente di artistico, o che Amorales stesso nel creare le sue opere non sia artistico. Piuttosto è l’interrogativo che questo problema solleva, ciò che più mi interessa. Dunque, quanto nelle opere di questi artisti è affidato al talento dell’uomo e quanto a quello della macchina? Ciò desta meraviglia, fa pensare. Affidando le nostre opere al potere delle macchine, potenzialmente, potremmo diventare tutti artisti, tutti pittori! Così, mettendo immagini in un computer tutti possiamo creare un archivio di forme. Una prova a sostegno di questa tesi è il fatto che Amorales stesso ha creato il suo gruppo di lavoro. Gruppo di artisti? Gruppo di lavoro? Come può un’opera d’arte essere fatta da un gruppo? E il talento, il genio, la fulminazione momentanea? Quant’è vero quello che dice Moravia del Poeta! Come, come sarà possibile creare un gruppo di lavoro?
Bene, l’artista non è creatore di niente, ma un dubbio mi tocca. Tutte le persone sentono e partecipano allo stesso modo la vita? Io che in questo momento mi pongo queste domande, sento allo stesso modo di coloro che sono qui sotto nel pub a vedere la partita di calcio? Anche quelli che ora stanno vedendo la partita, sorbendo una quantità smodata di birra e mangiando patatine fritte surgelate, potranno creare il loro archivio e il loro gruppo di lavoro? Ebbene, ci siamo avviati verso una singolare democratizzazione dell’arte.
Proseguendo il cammino su questa strada, la nostra società si avvia con passo spedito verso il suo inevitabile declino. Però, sicuramente saremo tutti più felici, e allora ogni sorta di miserabile e meschino essere vivente potrà creare o fruire la sua opera d’arte! Quante persone potranno vantarsi e dire “ anche io ho collaborato a questa opera, anche io sono un artista”. Vedo già il loro piccolo gruppo in casa, al mercato, in chiesa a complimentarsi tra loro. “ Sa mia figlia, quella santa donna, ha preso parte alla creazione di un’opera di un famoso artista messicano, conosciuto in tutto il mondo. Ma io lo sapevo che anche noi eravamo una famiglia di artisti”. Che schifo, che obbrobrio, tutto questo! Avremo inoltre centinaia di opere da “gustare”, migliaia di artisti da interrogare, i musei pieni zeppi di queste opere riprodotte in serie, e tutti saremo felici e contenti. Di domenica, prenderemo la nostra bella famigliola, abbracceremo la nostra bella moglie, bionda ed eterea, e li condurremo in questi luoghi d’arte. Con il solo intento di distrarci dalla pesantezza della vita e dall’insensatezza del nostro periodo storico. Magari si organizzeranno vere e proprie gite in pullman, pranzo al sacco e guida turistica, faremo la fila davanti ai musei per ore intere, così saremo in grado, durante le sere, di discutere con gli amici delle opere che abbiamo visto e apprezzato durante il giorno. No, no, no!!! Tre volte, infinitamente volte no a tutto questo, miei Giovani Artisti!
Una vita caotica, frammentaria, spesso insensata, come lo è il dolore. I giorni trascorreranno e questi esseri saranno ancora lì, pronti a cogliere al balzo le occasioni che questa esistenza, spesso meschina e avida, gli sottoporrà. Allora, dal momento che siamo vivi: “perché temere il futuro?”.
Contra Amorales
Che Amorales sia un giovanotto molto simpatico e ben educato non ci vuole poi tanto a scoprirlo. Basta ascoltare per un attimo le sue conferenze che subito tale impressione ci balena davanti. Piacevole è starsene lì, magari assorto su un banco di scuola, ad ascoltare le sue parole. Certamente una calma solare domina il suo occhio, e i suoi discorsi rispecchiano la fluidità celeste del suo animo. La tranquillità con cui si relaziona alla folla degli spettatori è segno palpabile della capacità con cui domina la sua arte. Inoltre, la sua infanzia fu di sicuro costellata da momenti toccanti e indimenticabili. Ma qui è di opera d’arte che vogliamo parlare! Certo, dopo l’oggettualizzazione del fenomeno artistico, dovuta proprio al sopraggiungere delle opere di una certa avanguardia, tutto è lecito. Che tutto possa diventare un’opera d’arte però desta qualche sconforto. Nietzsche, già cento cinquanta anni fa all’incirca, con geniale intuito, sosteneva dal canto suo che, l’Occidente artistico stava avvicinandosi inesorabilmente verso l’opera d’arte oggettuale: “il mondo del museo delle cere”. Anche se questa previsione rende molto bene l’idea del periodo storico che stiamo vivendo, tuttavia una riflessione intorno all’universo del mondo dell’arte contemporanea è d’obbligo. Dal momento che ci troviamo davanti, ogni giorno, a opere sempre più particolari e indecifrabili.
Posto che anche il mondo dell’arte come quello fenomenico sia dominato da questo continuo fluire di metodi e di idee, tentare di trovare definizione stabili, è ciò che io chiamo (parafrasando una nota espressione di C. Kahn) la fallacia della trasparenza, il tentativo di ridurre ogni “fatto” a sistema cristallizzato. Forse un buon metodo, per venire a capo di questo spinoso problema, è, invece, quello di prendere in considerazione direttamente le opere, passandole al vaglio della critica, senza però sistematizzarle in nessuna categoria predefinita. Anche questo approccio lascia comunque molti problemi irrisolti.
Ora vorrei soffermarmi, invece, su un’altra questione, che credo sia di eguale importanza, quella relativa alle modalità con cui l’opera d’arte contemporanea si relaziona al mondo delle tecniche scientifiche. Allora, come la produzione artistica contemporanea si pone nei confronti del mondo delle tecniche e delle scienze? Qual è inoltre il ruolo che l’artista assume a dispetto della macchina, all’interno del processo creativo? Sarà lui il creatore, o lui è il creato?
Come dicono in molti e non errano, il problema in teoria non dovrebbe neanche essere posto, dal momento che l’artista non è il creatore di un bel niente! Va bene, tutto questo è concesso. Vero, l’artista è solo un medium all’interno del processo artistico. Ma che c’è di artistico, dico io, nel creare un archivio d’immagini e inserirle in un computer? Dov’è finito il genio dell’artista, la sua immaginazione sconfinata, che mette a soqquadro ogni regola o andamento della vita? Dov’è finita quella potenza visionaria, cosmica, panteistica, che tutto prende e trascina nel suo vortice? La dedizione al caos, alla tempesta, al pathos dionisiaco. Tutto è diventato meccanico, robotico, disumano. Purtroppo siamo costretti, anche se con il cuore in frantumi, ad accettare tale fenomeno, visto che in questo mondo ci viviamo. Siamo nell’epoca della piattezza inventiva, della mediocrità del gesto, dell’insignificanza della genialità. Sulla scia di tale malefico “manifesto”, dunque, molte trasformazioni stanno avvenendo nel mondo dell’arte e nell’animo degli artisti. L’opera d’arte contemporanea, da qualche decennio, con inesorabile determinatezza, si è avviata verso “la conquista” della sua riproducibilità tecnica. Le brillanti riflessioni, a proposito, di W. Benjamin ci si stagliano davanti come un grandioso edificio, insormontabile. Allora, calma piatta! A nessuno sia più concesso di dar sfogo e libertà alla sua immaginazione creativa, a nessuno venga in mente di produrre, attraverso un particolare lavoro sulla forma, un’opera d’arte che produca un qualcosa di spirituale. Tutto è stato già fatto, tutto già detto e il mondo è in rovina!
Poste queste premesse, allora, ci scorrono davanti agli occhi le opere degli artisti contemporanei, come quella di Amorales. E qualche interrogativo ce lo poniamo, dal momento che Amorales pur facendo il pittore, come lui stesso sostiene, non ha un gran talento pittorico. Il talento e la creatività oggi sono un gran bel problema! Forse un aspetto dell’arte che a qualcuno dà molto fastidio! Saremo tutti più contenti. Visto che eliminato il talento sarà eliminata anche l’invidia che ruota intorno a questi strani esseri che qualcuno, un tempo, ha chiamato artisti. Eppure, non sto negando che nelle forme di Amorales non ci sia niente di artistico, o che Amorales stesso nel creare le sue opere non sia artistico. Piuttosto è l’interrogativo che questo problema solleva, ciò che più mi interessa. Dunque, quanto nelle opere di questi artisti è affidato al talento dell’uomo e quanto a quello della macchina? Ciò desta meraviglia, fa pensare. Affidando le nostre opere al potere delle macchine, potenzialmente, potremmo diventare tutti artisti, tutti pittori! Così, mettendo immagini in un computer tutti possiamo creare un archivio di forme. Una prova a sostegno di questa tesi è il fatto che Amorales stesso ha creato il suo gruppo di lavoro. Gruppo di artisti? Gruppo di lavoro? Come può un’opera d’arte essere fatta da un gruppo? E il talento, il genio, la fulminazione momentanea? Quant’è vero quello che dice Moravia del Poeta! Come, come sarà possibile creare un gruppo di lavoro?
Bene, l’artista non è creatore di niente, ma un dubbio mi tocca. Tutte le persone sentono e partecipano allo stesso modo la vita? Io che in questo momento mi pongo queste domande, sento allo stesso modo di coloro che sono qui sotto nel pub a vedere la partita di calcio? Anche quelli che ora stanno vedendo la partita, sorbendo una quantità smodata di birra e mangiando patatine fritte surgelate, potranno creare il loro archivio e il loro gruppo di lavoro? Ebbene, ci siamo avviati verso una singolare democratizzazione dell’arte.
Proseguendo il cammino su questa strada, la nostra società si avvia con passo spedito verso il suo inevitabile declino. Però, sicuramente saremo tutti più felici, e allora ogni sorta di miserabile e meschino essere vivente potrà creare o fruire la sua opera d’arte! Quante persone potranno vantarsi e dire “ anche io ho collaborato a questa opera, anche io sono un artista”. Vedo già il loro piccolo gruppo in casa, al mercato, in chiesa a complimentarsi tra loro. “ Sa mia figlia, quella santa donna, ha preso parte alla creazione di un’opera di un famoso artista messicano, conosciuto in tutto il mondo. Ma io lo sapevo che anche noi eravamo una famiglia di artisti”. Che schifo, che obbrobrio, tutto questo! Avremo inoltre centinaia di opere da “gustare”, migliaia di artisti da interrogare, i musei pieni zeppi di queste opere riprodotte in serie, e tutti saremo felici e contenti. Di domenica, prenderemo la nostra bella famigliola, abbracceremo la nostra bella moglie, bionda ed eterea, e li condurremo in questi luoghi d’arte. Con il solo intento di distrarci dalla pesantezza della vita e dall’insensatezza del nostro periodo storico. Magari si organizzeranno vere e proprie gite in pullman, pranzo al sacco e guida turistica, faremo la fila davanti ai musei per ore intere, così saremo in grado, durante le sere, di discutere con gli amici delle opere che abbiamo visto e apprezzato durante il giorno. No, no, no!!! Tre volte, infinitamente volte no a tutto questo, miei Giovani Artisti!
Daniel Filoni
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