Passa ai contenuti principali

Pompei e la Grande Decadenza


Il parallelo mediatico fra il successo de “La Grande Bellezza” e gli ennesimi crolli pompeiani ha incontrato facile successo, veicolato dalla contemporaneità dei due eventi. In effetti gli elementi di assimilazione sono più d’uno. Entrambi – film e sito archeologico – ci mostrano, spietatamente, il degrado di un paese incapace di usare il proprio passato in senso innovativo e proiettato verso il futuro. Bloccati in una paralisi etica e culturale, che impedisce qualsiasi costruzione positiva: Jep Gambardella non riesce più a scrivere nulla da quarant’anni e forse da altrettanto tempo abbiamo smarrito il senso del nostro patrimonio culturale e la capacità di farne uno strumento – forse il più potente – di progresso civile e sociale.

Anche per Pompei, come è stato notato, si usano, da un paio d’anni a questa parte le maiuscole, a nascondere attraverso l’innalzamento del tono verbale, il contemporaneo sfilacciarsi di una visione metodologicamente coerente e di largo respiro. Il Grande Progetto Pompei, lanciato in pompa magna nell’aprile 2012 e attraverso il quale si doveva procedere al restauro complessivo del sito con i soldi della comunità europea dopo i rovinosi crolli avvenuti a partire dal novembre 2010, è ormai entrato in un vicolo cieco. A distanza di 2 anni, dei 105 milioni complessivi, sono state spese poche centinaia di migliaia di euro e risultano banditi meno di 20 milioni complessivi, per di più seguendo un cronoprogramma di cui i fatti di questi mesi, di questi giorni hanno dimostrato la sostanziale irrazionalità: invece che concentrarsi, in prima battuta, su di una ricognizione speditiva ma esaustiva dell’intera area scavata e procedere ad una messa in sicurezza, anche provvisoria, delle situazioni a maggiore rischio per poi affrontare e rimuovere le cause di degrado principali, a partire dal rischio idrogeologico, ci si è dedicati al restauro integrale di pochissime domus. Per di più, a causa di incapacità gestionali oltre che di obiettive difficoltà di contesto, queste operazioni sono state caratterizzate da lentezze e criticità, quali ad esempio gli eccessivi ribassi (oltre il 50%) delle gare d’appalto. Risultato: le cause endemiche di degrado hanno continuato ad agire, provocando danni diffusi (i crolli riguardano tutta l’area del sito) e i primissimi esiti delle operazioni di restauro, inaugurate appena qualche giorno fa per quanto riguarda la casa del Criptoportico, provocano più di un dubbio. Dalla documentazione visionabile sul sito del Mibact la qualità architettonica appare molto bassa e discutibili le tecniche di integrazione del sito e il loro impatto sul contesto.

Di fronte al fallimento complessivo del Grande Progetto Pompei, ormai evidente, nell’agosto scorso, l’allora ministro Bray aveva cercato di porre un rimedio, evitando contemporaneamente l’ennesimo commissariamento di Protezione Civile auspicato invece dal premier, attraverso la costituzione di un gruppo di intervento articolato: Direttore di Progetto, task force di una ventina di tecnici Mibact e 5 consulenti in materie urbanistiche, economiche, giuridiche. ll tentativo, concretizzatosi, pur con sfilacciature, nel così detto Decreto Valore Cultura è diventato legge dello Stato il 7 ottobre 2013. A distanza di 5 mesi quella struttura non si è ancora insediata pienamente, a causa di conflitti e guerriglie interne al governo e al Mibact che ne hanno ritardato l’operatività oltre ogni limite di buon senso. Anche per questo, del resto, Pompei si riconferma simbolo spietato della profondità della crisi che interessa la gestione del nostro patrimonio culturale.

In tale crisi, l’accademia ha responsabilità non meno gravi: presenti per molti anni e fino a tempi recenti con propri cantieri di ricerca all’interno del sito, le università non hanno mai collaborato ad una strategia complessiva finalizzata al primo degli obiettivi, anche scientifici, ovvero sia la tutela di un’area fragilissima sottoposta a rischi innumerevoli, antropici e non. Ogni ricerca, ogni sforzo, andava indirizzato a costruire un modello innovativo di tutela e fruizione non di un sito qualsiasi, ma di un’intera città, affrontando collegialmente una sfida complessa, ma non impossibile, se iniziata per tempo e con convergenza di intenti. Al contrario, soprintendenza, enti locali, università hanno proceduto come disiecta membra, ciascuno per proprio conto quando addirittura non in contrapposizione. Uno degli effetti di questa suicida incapacità di coordinamento è stato appunto il Grande Progetto Pompei, compromesso incoerente, nato per giustapposizione di differenti tattiche di intervento, esito inevitabile e al ribasso dell’italico “un colpo al cerchio e uno alla botte”.

Se quasi impossibile è, ormai, il mantenimento dei tempi richiesti da Bruxelles che prevedevano la fine dei lavori, rendicontazione inclusa, entro il 31 dicembre 2015, la partita di Pompei non può essere abbandonata o gestita per mero “galleggiamento”. Occorre, da subito, un cambio di indirizzo radicale e metodologico del “Grande Progetto”: moltissimo può essere fatto, anche in poco tempo, a partire da una strategia complessiva di medio- lungo termine che, intervenendo rapidamente a tamponare le emergenze, riesca però ad inserire attività e sforzi in un disegno organico che preveda soluzioni non temporanee, ma sostenibili nel lungo periodo. Occorre reimpiantare una metodologia di conservazione programmata affidandola, nel quotidiano, a quelle competenze e specializzazioni tecniche che almeno fino agli anni ’70 operavano a Pompei: così come, del resto, ci avevano suggerito gli esperti -veri- inviati dall’Unesco in ispezione dopo i crolli del novembre 2010, i cui preziosi report, per colpevole arroganza, sono stati sostanzialmente ignorati dai tecnici e dirigenti del Mibact. Pompei può e deve tornare ad essere il laboratorio su cui sperimentare una nuova gestione del nostro patrimonio culturale, ma non c’è più un minuto da perdere. 

Maria Pia Guermandi

Commenti

Post popolari in questo blog

Alcuni saggi - prova d'istituto - per le olimpiadi di filosofia svolti dagli alunni della Colombo.

A cura di Daniel Filoni Traccia N 5 "Dalla morte , dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto. Rigettare la paura che attanaglia ciò che è terreste, strappare alla morte il suo aculeo velenoso, togliere all'Ade il suo miasma pestilente, di questo si pretende capace la filosofia". Franz Rosenzweig" La stella della Redenzione" sostiene che la filosofia coincida con la rimozione della paura della morte. Si crea dunque il paradosso che la paura della morte - insita in ogni uomo-  generi la filosofia, ma che poi la filosofia neghi la morte, tentando di circuire l'uomo attraverso l'idea del Tutto. Il candidato commenti questo passo, sviluppando considerazioni sia di carattere teoretico sia argomentativo, prestando particolare attenzione alla relazione morte-filosofia che attraversa le riflessioni dei filosofi. Di Francesca Rondinella  ( sezione lingua spagnolo) La resurrección de la Filosofía...

Alcune riflessioni a proposito del Cile e dei cileni.

Di Daniel Filoni Quando si parla del Cile e dei cileni, secondo il senso comune, oggi, si è soliti pensare a un paese ed a una popolazione nati prevalentemente dal seme fecondante dei conquistatori occidentali, i quali una volta preso possesso di questo territorio hanno sottomesso e schiavizzato le popolazioni native americane, influenzando e cambiando il loro modo di vivere e di pensare. Con questo articolo mi propongo, al contrario, di mostrare quanto invece la situazione sia più complessa e multiforme. Non solo è sbagliato parlare in termini unilaterali di dominio e schiavizzazione da parte dei conquistadores sugli indigeni nativi, ma, alla luce di osservazioni, intuizioni e riflessioni più attente, si potrebbe sostenere che tra i conquistatori e gli schiavi, invece, si sia creata, anche se inconsapevolmente da parte degli occidentali, una compenetrazione di culture, valori e sentimenti provenienti da entrambe le parti. Sicché il Cile oggi più che il prodotto esclusivo delle...

Lo gnosticismo

In ragione della sua evidente attitudine sincretistica, lo gnosticismo è stato spesso interpretato come un aggregato di dottrine eterogenee, un amalgama all’interno del quale risulterebbe dominante un dualismo di origine greca che parassitariamente si innesterebbe come eresia sul nascente cristianesimo, deformandone l’originario kerygma storico verso una deriva mitizzante o pseudofilosofica, comunque nella direzione di un’ellenizzazione radicale. In alternativa, lo gnosticismo è stato identificato come un fenomeno di quel magmatico sommovimento teologico che, avviato da preesistenti tradizioni orientali, iraniche in particolare, o giudaiche eterodosse (o samaritane), sarebbe all’origine della stessa teologia del Nuovo Testamento. Comunque, in se stessa, a prescindere dal suo adattamento cristiano, la Weltanschauung gnostica sarebbe indipendente dal cristianesimo. Al contrario, ritengo che lo stesso dualismo gnostico sia concepibile soltanto a partire dalla fede nel Cristo crocif...