Passa ai contenuti principali

Racconto giovanile



PARTE PRIMA

Giacinto, questa volta, ce l’aveva fatta. Trovato con Mirella un appartamento in centro, vi si era stabilito definitivamente.
Era grande e grosso Giacinto, e, nonostante avesse un viso poco intelligente nella vita e anche negli affari ci sapeva fare. Così le sue occupazioni avevano iniziato a fruttargli molti soldi.
Durante il lavoro, nel suo ufficio, maneggiava ogni sorta di carta e schedario, appuntando, stabilmente, il fatturato del mese su uno di quei taccuini; e tra giri loschi e facili guadagni racimolava somme considerevoli.
Mirella era tutta una gioia quando Giacinto le faceva regali. E, diciamola pure, Giacinto, da par suo, non era per nulla dispiaciuto nello spendere il proprio denaro per contentare e far sorridere la donna che amava.
Benché Giacinto ostentasse duttilità pratica e fiuto per gli affari, non possedeva tuttavia conoscenze degne di nota. Anzi, tutt'altro. Anche se si vantava di conoscere la storia, la letteratura e anche la geografia, aveva conseguito la licenza media con scarsi risultati.
Purtroppo la donna, nonostante apprezzasse il suo uomo, doveva, in virtù del ruolo che ricopriva, subire le sfuriate del compagno.
Giacinto poteva stare pomeriggi interi a parlare di storia: Romani, Egiziani, e via discorrendo. E come si beava dei rari libri che aveva letto!
A sentirlo parlare della sua preparazione culturale neanche Pasolini ne sapeva di più. Certo ai familiari, di modeste origini contadine, poteva darla a bere, grazie all’erudizione d'accatto, che ostentava ogni volta verso chi era più ignorante di lui. Ma quando rare volte si trovava a contatto con professori, evitava il discorso per non fare figuracce.
Mirella era in dolce attesa e Giacinto era felice per questa notizia. Ne faceva argomento con tutti nel suo quartiere. Tra la gioia e l'ammirazione generale si era deciso di comune accordo di chiamare il nascituro: Dario.
Non per omaggiare il grande re Persiano, che il nostro a mala pena conosceva ed apprezzava, ma perché si era deciso così e nulla più. Forse perché il nome Dario suonava regale alle orecchie di Giacinto, o forse perché, più semplicemente, dando un nome così importante a  suo figlio, voleva distinguersi dai numerosissimi fratelli, che lui riteneva poco colti, e che tali erano in verità.
Giacinto in famiglia era molto considerato. Per la mamma Maria, Giacinto era il figlio maggiormente riuscito. Non solo brigante, con l’arte di saper conquistare numerosissime donne, ma anche capace di ammaliare, con il suo “sapere”, rioni interi di signore, che stupite lo ammiravano.
Giacinto si divertiva guardando la vita che gli correva davanti.


                                                              *****


Giacinto e Mirella aspettavano la nascita di Dario. In quei mesi d'attesa Giacinto era felicissimo, e ogni sera, dopo aver cenato alla presenza di amici, carezzava il pancino grazioso di Mirella, sussurrandole tenui parole.
Dario venne al mondo. Era un giorno in cui il cielo tuonava.
Uscito dalla vagina della madre, già faceva i primi capricci e non smetteva mai di piangere. Pesava quattro kili il piccolino. Ovviamente, Giacinto, da grand'uomo qual era, si vantava della bellezza e della robustezza del nascituro.
Pertanto Giacinto non perdeva mai l’occasione di bighellonare per il quartiere, parlando con chiunque. “Speriamo, diceva…diventi bello e sapiente come il padre”.
Poi aggiungeva: “Voglio che Dario sia il più famigerato donnaiolo di Roma”.
Intanto Dario trascorreva le sue giornate a nutrirsi con il latte della madre.
Dopo il lavorio quotidiano Giacinto tornava a casa, portando con sé regali per Dario, ma soprattutto per Mirella. Riempiva la compagna di bracciali e collane, appariscenti, poiché Mirella aveva iniziato a darsi da fare per la casa e per il piccolo Dario, quindi meritava ricompense.



                                                           ****

   
Giacinto quando si trovava in ufficio programmava ogni faccenda con cura maniacale. Tutto era predisposto per la sua comodità.
Il lavoro va bene, anche lui in quello ci credeva molto (da buon liberale qual era), ma la fatica non doveva mai oltrepassare il limite, perciò tutto veniva curato con fare militaresco.
La segretaria era avvertita: nessuno poteva accomodarsi senza averlo prima consultato. Su questo punto Giacinto era molto rigido e non permetteva nessun colpo di testa dai suoi dipendenti.
Trascorreva le giornate a far di conto, e scambiare merce di valore, tutto preso dal turbinio e dall'andirivieni dei numerosi clienti e amici che si era fatto in quegli anni. Ogni sorta di persona si recava nell'ufficio di Giacinto: avvocati, medici, notai, artisti, ladri, perdigiorno e casalinghe tuttofare. Ognuno con un quesito ed una faccenda particolari da sottoporre alle orecchie di Giacinto.
Giacinto si sentiva come un padrino. Faceva accomodare le persone, con fare garbato, ed ascoltava attento le loro questioni, pronto a porre rimedio agli inconvenienti, con la sua intelligenza pragmatica.
Lasciava parlare l'interlocutore senza mai interromperlo per nessuna ragione. E se si trattava di una faccenda losca fischiava per tre volte, richiamando i suoi “colleghi”. Invece se gli portavano della merce rubata si faceva tutto serio e pensieroso.
Anche delle opere d'arte scivolavano tra le sue dita. Ma Giacinto oramai si sentiva a proprio agio in quell'occupazione.
Da grande ricettatore qual era, faceva particolare attenzione alla bellezza delle opere che acquistava. Se tra le mani gli passava un Modigliani, una collana d'oro, appartenuta al re di Sardegna, poteva trascorrere giornate intere a vantarsi dei preziosi. Segnava su uno dei copiosi taccuini le uscite e l'entrate del mese.
Gli affari andavano a gonfie vele, a tal punto che ogni estate Giacinto si sarebbe potuto recare alle Maldive o ai Caraibi.
Così, durante le pause di lavoro, nel suo ufficio, mentre nella mano sinistra stringeva con vigore un mucchietto di soldi appena guadagnati, Giacinto si acquietava placidamente.



                                                              *****



Lasciato a casa il piccolo Dario a mamma Maria, quel pomeriggio Giacinto propose a Mirella di fare una passeggiata in centro. Una volta decisi, si prepararono. Impiegarono più di due ore per compiere e portare a termine i preparativi.
Giacinto si pavoneggiava davanti allo specchio, tenendo prematuramente il portafogli già stretto nella mano, mentre, da par suo, ordinava alla domestica di stirargli a modo pantaloni e camicia.
Presero la macchina più lussuosa, una spider nera rombante. Giacinto spingeva il pedale, per sentirsi potente e per dare sfogo ai cavalli dell’autovettura, mentre la strada si apriva al loro passaggio come fiori in primavera.
Le vetrine brillavano: finestre di topazi e brillanti.
Mirella era bellissima: giovane ancora, con un corpo magro, veloce, braccia esili e occhi verde marino, sostenuti da un collo slanciato e puro.
Dopo aver attraversato strade e piazze barocche, i due si fermarono per bere un bicchiere di vino.
Giacinto era felice di passeggiare con una donna così bella. E preso da un’inebriante felicità, si abbandonava a lunghi “sermoni”.
Vedi Mirella, diceva Giacinto già in solluchero: “Un filosofo greco sosteneva che il mondo è come quei bambini che giocano, e come quei fanciulli avrà sempre un’inclinazione per l’innocenza e il gioco”.
Amore, sei un genio! “Sapresti dirmi anche il perché?”, rispose Mirella, con grazia regale. “Il perché non saprei spiegartelo, amore”, disse l’uomo. “Ma che importa tutto questo! Guarda piuttosto che bel giaccone in quella vetrina!”, avanzò Giacinto.  “E come mi starebbe bene”, rispose Mirella, al settimo cielo.
Era una gioia per i sensi ammirare Mirella passeggiare. Lei mostrava sempre la delicatezza e la grazia, che, così raramente, in tempi volgari, era possibile trovare nelle donne.
Pertanto, quando lei passava ogni cosa s’illuminava.
Giacinto, invece, non sembrava proprio un bell'uomo, e molti nel quartiere si chiedevano perché una donna come Mirella riuscisse a vivere ed amare un uomo brutto come Giacinto.
 “Guarda… Giacinto”, sentenziò Mirella, “guarda che bel diamante! Che ne diresti se [tentennando]... se...”
“Non ti preoccupare mia dolce principessa”, ci pensa Giacinto tuo.


                            

                                                      *****
                                   

Quella per gli egiziani era una vera e propria fissazione.
Appena aveva un quarto d'ora la mente sgombra da pensieri, Giacinto iniziava a decantare le glorie dell'antica popolazione egizia. Ovviamente, oggi in Occidente, tutti sanno per quanti secoli e con quale magnificenza la civiltà egizia ha dato lustro ad un mondo ancora addormentato, però per Giacinto gli egiziani,  soprattutto i faraoni, non solo  rappresentavano un modello ineguagliabile di grandezza, ma la popolazione più fiorente mai esistita nella storia.  A dirla tutta, (c’era dell’altro) anche Giacinto si sentiva un faraone, giacché da quando era piccolo, sognava di ricoprire il ruolo di capo.
Se ne usciva sempre così all'ufficio, dopo aver sbrigato qualche faccenda, o dalla mamma Maria, come i cavoli a merenda: Hammurabi, Iside e Nefertari! Chi come gli egizi furono grandi nella storia?
Mentre elargiva perle di saggezza, simultaneamente guardava fisso il suo interlocutore, per spaventarlo e inibirlo.
“Io...Io so... perché ho letto, e mi sono documentato! “Io non sono come voi, che siete delle capre ignoranti”, diceva Giacinto. Quando faceva così, il silenzio scendeva attorno a lui e nessuno poteva e doveva fiatare. Dieci minuti e si calmava; poi ritornava a far di conto.
Era questo il modo in cui Giacinto ostentava la sua sapienza, al cospetto dei mentecatti che aveva dinnanzi. E tutti i suoi beceri parenti lo credevano erudito e degno di stima. Chiaramente nessuno poteva contraddirlo. Se questo accadeva, si alzava in piedi e cominciava ad urlare e minacciare gli altri con gesti intimidatori.
Una volta un ragazzo intelligente, che si era inscritto al Liceo artistico, si era permesso di dire che, gli egiziani non erano la sola grande popolazione, ma che c'erano state altre popolazioni importanti  prima della venuta di Cristo.
Fu interrotto, e dopo un giorno licenziato bruscamente.


                                                           *****

                                     

Se c'era una cosa che lo faceva infuriare ancora più che essere interrotto quando “filosofava”, era quella di sentirsi una persona comune tra persone comuni. Anche quando camminava, Giacinto si guardava attorno e squadrava ogni microscopico essere dall'alto in basso.
D'altronde, la superbia è una caratteristica degli uomini che si credono superiori alla massa; e Giacinto ci si sentiva.
Inoltre, quando doveva sbrigare faccende noiose, Giacinto drizzava il petto e le spalle per far capire ai presenti che lui era Giacinto, e che nessun lì, tra i presenti, era degno di lui.
Quel giorno era costretto a recarsi alle poste. Se solitamente mandava qualche dipendente, stavolta doveva occuparsene egli stesso.
Entrò nell'ufficio affollato, squadrò tutti con aria saccente, e prese il numeretto con sdegno, come se avesse voluto far vedere che Giacinto era Giacinto e gli altri lì, al suo cospetto, erano niente.
Mentre attendeva il suo turno, fortunatamente, s’imbatte nello sguardo di Gino, il macellaio, che subito lo salutò reverente.
“Eh Giacinto, bell'annata questa! I mondiali; e poi hai visto che sole di fuori?”
“Vero, Gino, son d'accordo con te”, nascondendo la rabbia di trovarsi dove si trovava.
“So che è nato tuo figlio. E Mirella come sta?”
“Bene, benissimo, caro Gino.”
“Ed il lavoro, tutto a gonfie vele? Si dice nel quartiere che sei riuscito a fare un bel mucchio di soldi”.
“Ben detto, Gino!” Rispose Giacinto, per evitare altre domande.
“Senti dopo è il mio turno... se vuoi posso darti il mio numeretto, così farai presto.”
A Giacinto tornò il sorriso, ringraziò Gino e passò avanti.
Avanti il prossimo, sentenziò la commessa, con voce squillante.


                                                        *****



Maria era la mamma più buona del mondo. Sebbene avesse raggiunto la veneranda età di settant’anni, Maria mostrava la vivacità di una bambina: giù e su per la casa.
Aveva molti figli, ma lei non si dispiaceva dei pensieri. 
Correva sempre, senza mostrare un minimo cenno di fatica a chi le stava vicino. Maria era una vecchina dalle gambe scaltre e dal corpo veloce. Inoltre, aveva una chioma bianca, di un bianco purissimo, da far invidia a tutte le donne del quartiere. Giacinto l'amava, di un amore incondizionato. Lei ricambiava il suo affetto con mille premure, perché conosceva le difficoltà della vita, o forse solo per un innato amore materno.
Maria stirava miriadi di camice e pantaloni. Tutto doveva essere in ordine; niente poteva permettere che il figlio non girasse pulito e curato, giacché alla pulizia e all'eleganza ci tenevano molto, senza considerare, invece, la cura della mente e dell'etica.
Prima di comprare la sua casa con Mirella, Giacinto e la madre abitavano in un appartamento, sito nel centro del quartiere. Quando si doveva pranzare, poiché in quel tempo non esistevano ancora i cellulari, Maria, dovendo richiamare il figlio, si affacciava dalla finestra, e urlava a squarciagola.
Così il tempo trascorreva e Giacinto si faceva uomo. Ora possedeva una banda tutta sua, accingendosi a diventare il boss del quartiere.
Abiti eleganti, profumi, ma soprattutto miriadi di donne, viaggi oltre oceano, serate a lume di candela.


                                                          *****




Prima di aprire il suo studio, Giacinto si arrangiava con lavoretti organizzati con gli amici. Lavorava solo di notte, ma saltuariamente.
Alcune mattine, per miracolo, riusciva anche ad alzarsi. Quando ciò accadeva, si recava al mercato per fare la spesa. In giro incontrava amici con i quali discutere. Amava molto la cucina, e i prodotti della terra.
Una volta recatosi al mercato, passava in rassegna ogni banco e scrutava capillarmente la bellezza ed i sapori dei prodotti, senza lasciarsi sfuggire nulla. Prendeva la merce e la sottoponeva all'olfatto, alla vista, al tatto.  Poi si decideva e sentenziava... “Orsù, la prendo!”. “Farò un’ottima pasta e broccoli oggi”.
È inutile dire che lì ci passava tutta la mattina: tra un commento e le ore trascorrevano; e poi la miriade di amici. Insomma, quel mercatino gli piaceva davvero.
Così dopo aver bighellonato, si dirigeva all'enoteca per scegliere un vino.
“Pasta e broccoli…pasta e broccoli...” rifletteva a lungo, davanti il negozio di Giovanni. Poi, con fare risoluto, si decideva, entrando a grandi falcate.
“Pasta e broccoli...”. “Giovanni, certo, un Vermentino!”
Giovanni sorrideva e sbrigava il suo compito.


Daniel Filoni

Commenti

Post popolari in questo blog

Alcuni saggi - prova d'istituto - per le olimpiadi di filosofia svolti dagli alunni della Colombo.

A cura di Daniel Filoni Traccia N 5 "Dalla morte , dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto. Rigettare la paura che attanaglia ciò che è terreste, strappare alla morte il suo aculeo velenoso, togliere all'Ade il suo miasma pestilente, di questo si pretende capace la filosofia". Franz Rosenzweig" La stella della Redenzione" sostiene che la filosofia coincida con la rimozione della paura della morte. Si crea dunque il paradosso che la paura della morte - insita in ogni uomo-  generi la filosofia, ma che poi la filosofia neghi la morte, tentando di circuire l'uomo attraverso l'idea del Tutto. Il candidato commenti questo passo, sviluppando considerazioni sia di carattere teoretico sia argomentativo, prestando particolare attenzione alla relazione morte-filosofia che attraversa le riflessioni dei filosofi. Di Francesca Rondinella  ( sezione lingua spagnolo) La resurrección de la Filosofía

Alcune riflessioni a proposito del Cile e dei cileni.

Di Daniel Filoni Quando si parla del Cile e dei cileni, secondo il senso comune, oggi, si è soliti pensare a un paese ed a una popolazione nati prevalentemente dal seme fecondante dei conquistatori occidentali, i quali una volta preso possesso di questo territorio hanno sottomesso e schiavizzato le popolazioni native americane, influenzando e cambiando il loro modo di vivere e di pensare. Con questo articolo mi propongo, al contrario, di mostrare quanto invece la situazione sia più complessa e multiforme. Non solo è sbagliato parlare in termini unilaterali di dominio e schiavizzazione da parte dei conquistadores sugli indigeni nativi, ma, alla luce di osservazioni, intuizioni e riflessioni più attente, si potrebbe sostenere che tra i conquistatori e gli schiavi, invece, si sia creata, anche se inconsapevolmente da parte degli occidentali, una compenetrazione di culture, valori e sentimenti provenienti da entrambe le parti. Sicché il Cile oggi più che il prodotto esclusivo delle

La riflessione estetica italiana da Croce ad Anceschi.

L’Arte tra la forma e la sostanza La riflessione estetica italiana da Croce ad Anceschi Nel 1928 Benedetto Croce dà alle stampe un’opera dal titolo Aesthetica in nuce , originariamente nata quale voce da inserire nella importante «Encyclopedia Britannica», e che riassume in un certo senso il suo pensiero circa la filosofia dell’arte. Secondo Croce, il problema attuale dell’estetica è quello di restaurare e recuperare la classicità contro l’estetica del romanticismo; recuperare, in altri termini, il momento sintetico, teorico e formale, che è quanto di più proprio dell’arte, rispetto all’elemento affettivo , predominante invece nella tradizione del Romanticismo. E si pensi ai paesaggi impetuosi di William Turner o alla malinconia che traspare dai tramonti di Caspar David Friedrich, o ancora all’italiano Francesco Hayez, autore di un quadro come Il bacio (1859), divenuto negli ultimi tempi una vera icona pop. Ma si potrebbe pensare, in letteratura, ad autori come Leopardi, B