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Immagini del borde de la Patagonia

Quella nel Chubut orientale, cucuzzolo della Patagonia, è stata una toccata e fuga e quindi non può essere descritta altrimenti che come l’ho vissuta e cioè con una serie di immagini.
Uno: il cielo. Nella pianura totale il cielo è immenso, azzurro. Non se ne sente il peso, rimane lontano, ma si riescono a distinguere le diverse altezze delle nuvole. È così grande perché non c’è nemmeno un albero a sostenerlo e a bloccarne la visuale? O un edificio o una montagna o una cosa qualsiasi? Piani paralleli e infiniti, terra e cielo.
Due: le strade larghe di Puerto Madryn. Dicono sia per il vento, perché non si infili in strettoie da cui poi non riuscirebbe ad uscire, accanendosi contro i poveri passanti.
Tre: sulla strada che da Rawson città va al porto, un parco giochi per bambini con scivoli, altalene, cavalli, elefanti e mucche a molla. Proprio ben equipaggiato e assolutamente in mezzo al nulla. Non c’è alcun segno di vita nel raggio di chilometri. Se ci fosse si vedrebbe, è tutto in piano. Un parco giochi in mezzo al deserto.
Quattro: gli uomini consumati e bruciati dal sole e dal vento nel porto di Rawson. Le loro facce abbronzate, dure e secche. Anche se non sono completamente sicura che quello che ho visto sia libero da influenze letterarie. Sono però sicura di averlo notato per contrasto: gli uomini del porto di Buenos Aires, come in realtà un po’ tutti i portegni, sono sciolti: le loro sono facce cadenti, sul punto di sciogliersi, e assumono forme strane, inadatte ad un volto. Gli uomini di porto patagonici sono tirati, scavati dal vento, seccati al sole.
Cinque: la spazzatura appena fuori dalla città di Trelew. Tutti rispettano l’ambiente nel Chubut, nessuno butta rifiuti per terra, al massimo forse qualche cicca di sigaretta. Però Trelew è un’eccezione: poco fuori dalla città, nel deserto che è questo inizio di Patagonia, lattine, bottiglie, carte, sacchetti e altra spazzatura colorata di varia natura, spuntano dalla terra secca, affianco e assieme ai rovi, unica vegetazione originaria della zona.
Sei: le villas piane di Puerto Madryn. Ovvero l’ampliamento del significato della parola villa: a Buenos Aires una villa è una baraccopoli che si sviluppa in altezza. Buenos Aires è una metropoli, non c’è spazio per nuove costruzioni, e allora la villa deve crescere in verticale. Ma a Puerto Madryn, in Patagonia, di spazio ce n’è oltre i limiti del visibile. E allora la villa è in piano: ogni casetta ha il suo spiazzo intorno, alcune anche la cassetta delle lettere e qualche pianta. Sono piccole villette a schiera le abitazioni che compongono le baraccopoli del Chubut.
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Sette: anche a Puerto Madryn c’è chi cambia i nomi delle strade. Camminando verso il centro si può seguire Avenida Roca. Julio Argentino Roca, militare e statista argentino, due volte presidente della nazione. Autore, negli anni 1878-79, della conquista del deserto. Che si può anche chiamare sterminio degli indios della Patagonia: uccisi, fatti prigionieri, deportati a Buenos Aires come schiavi, o sull’isola Martín García a morire di stenti. Perché anche la Patagonia deve essere colonizzata da uomini bianchi. E credo sia per questo motivo che il nome della via è stato sostituito a tratti con Avenida Pueblos Originarios, una sorta di vendetta postuma o di chi è rimasto.
Otto: pinguini. Tantissimi pinguini. Orde di pinguini. Pinguini che dormono, pinguini che covano, pinguini che prendono il sole, pinguini che passeggiano sulla spiaggia, soli o a gruppetti, pinguini che nuotano e pinguini che urlano. Fa caldo, non pensavo che i pinguini vivessero fuori dai ghiacci. E invece scopro che poi se ne andranno in Brasile. Hai capito i pinguini.
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Nove: il río Chubut e il ponte levatoio. Sulle rive del fiume immersa nel verde e negli alberi alberi, cose entrambe strane qui in Patagonia, apprendo che il Chubut non è navigabile. Ma che se lo seguo per qualche chilometro posso incontrare un ponte levatoio. Narra la leggenda che ci sia stato un ordine errato a Buenos Aires, tale per cui il ponte levatoio destinato a qualche fiume effettivamente navigabile della regione del Chaco sia stato mandato qui e il ponte normale, non levatoio, sia finito in Chaco. Come l’avranno presa da quelle parti?
Dieci: le balene nel Golfo Nuevo. Sono sul molo a guardare dall’acqua la città di Puerto Madryn e dietro la Barda, una collina di due colori che sembra un tiramisù con un solo strato di crema e uno di savoiardi, quando la vedo. Una pinna che emerge per un momento dall’acqua per poi ritornarci velocemente. E ricomparire a una decina di metri da me. Una balena che nuota. Poi mi accorgo che non è sola: altre pinne, code e teste che vengono a galla da altri punti del golfo. Vengono qui qualche mese all’anno, per riprodursi, poi proseguono. Forse vanno in Brasile con i pinguini, chissà.
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Undici: stazioni ferroviarie in disuso. Anche qui la lotta tutta argentina al trasporto su rotaie lascia cadaveri in decomposizione o resti mummificati adibiti a segnalibri del ricordo, come la stazione di Trelew.
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Dodici: Gustavo e i NYC, nacidos y criados, nati e cresciuti in loco. Cioè i discendenti dei gallesi. Perché le terre del Chubut sono state colonizzate dai gallesi. Gallesi che ancora prendono il te nel villaggio di Gaiman e che parlano la loro lingua, insegnata dai nonni o nei collegi bilingui che spuntano in quasi ogni centro abitato. E che hanno la puzza sotto al naso, secondo Gustavo, il cameriere che mi porta quello che potrebbe essere un chilo di frittura. Gustavo, del conurbano sud di Buenos Aires, è arrivato qui e prima di riuscire a raccogliere i soldi per affittare casa ha dovuto dormire in spiaggia per un po’ di tempo. Scappava da una brutta situazione, in cui rischiava grosso. Questione di donne, dice facendo l’occhiolino. Qui non mi troveranno mai e poi si vive bene. Anche se avere legami è difficile, la gente è fredda e diffidente. Vuoi uscire con me?
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Tredici: dinosauri. La Patagonia è terra di ritrovamenti di dinosauri. Lo sa chi ha letto Chatwin, io lo scopro qui. Poco tempo fa è stato trovato un nuovo scheletro nel Chubut, pare sia il più grande erbivoro mai scoperto. Tanto che per esporlo al museo di Trelew devono alzare il tetto e ampliare tutta una sezione. Per ora c’è solo un femore che arriva quasi al soffitto. Però si può vedere un video, dove la proprietaria del terreno dove è avvenuto il ritrovamento ammette rassegnata di non aver potuto fare altro che denunciarlo, che le sono entrati in casa e l’hanno visto. Un gigante non si può nascondere, dice. Dalle sue parole pare di capire che praticamente ogni estancia abbia il suo dinosauro sepolto, assolutamente non dichiarato perché le conseguenze sono fastidi ed espropriazioni. C’è chi a casa ha un cane, chi un dinosauro. E comunque non riuscirò mai a capire i musei argentini e le loro esposizioni.
Serena Caputo.

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