Una luce brilla la sera davanti alla finestra del mio scrittoio, illuminando
la stanza di fronte del palazzo in cui vivo fino al mattino. In questa camera
abitavano da quaranta anni Suzan e Kerope, i quali vivevano, tranquillamente,
una vita serena. Ma quella stanza totalmente illuminata brillava all´insegna di
sventura.
La storia di Suzan e Kerop è apparentemente una storia comune; una di
quelle storie che puoi ascoltare in qualsiasi parte del mondo. Però, a bene
vedere, questa storia fa nascere un insieme di pensieri che andrebbero
approfonditi.
Non è molto tempo che io e mia moglie abbiamo fatto conoscenza di due
amabili vecchi. Da quando ci siamo trasferiti qui nella nostra attuale casa,
subito ci siamo accorti della presenza di due vicini particolari. Suzan e Kerop
sono Armeni, ma da tantissimo tempo vivono qui a Buenos Aires, dove si sono conosciuti e si sono innamorati. Kerop e Suzan non avevano figli. Avremo modo
di tornare più tardi a parlare della loro nazionalità, giacché il fatto di
essere Armeni solleva ulteriori questioni.
Sebbene la loro presenza fosse discreta, ci eravamo resi conto della
peculiarità di queste due persone già dal loro aspetto fisico. Suzan è una
vecchietta piccola e delicata, dagli occhi espressivi, con il naso proporzionato
e ben fatto e tanti capelli grigi, arruffati, che adornano la sua testa. Lei indossa sempre abiti discreti e poco
appariscenti. Sicché se non fosse stato per il suo carattere amabile e per una
particolare inclinazione che aveva nella cura di suo marito, non avrebbe destato molta attenzione. Ma la
peculiarità di questa coppia era data, sicuramente, da Kerop e dalla sua
malattia. Kerop era un simpaticissimo anziano, colpito purtroppo dal morbo di
Alzheimer, che lo ha debilitato e lo ha reso quasi invalido. In questi ultimi
anni, Kerop viveva sotto la protezione, la custodia e la cura di sua moglie, la
quale, amorevolmente, gli dedicava quasi tutto il suo tempo.
Molto spesso, quando uscivo da casa, li vedevo camminare insieme verso il
supermercato, tenendosi sottobraccio.Vederli insieme toccava l´animo e sollevava
interrogativi. A volte, quando li vedevo passare davanti a me sulla strada, mi
veniva da chiedermi: è mai possibile che questi piccoli e indifesi vecchietti
un tempo hanno avuto una grande vitalità e una grande energia? E come è possibile
che questa forza, questa giovinezza, appassiscano quasi totalmente con
l´avanzare degli anni? Poi, loro si avvicinavano a me e queste domande lasciavano
spazio alla realtà.
Kerop oramai era quasi muto, ma la vivacità dei suoi occhi sembrava dire
più di mille parole. Inoltre, il fatto che Kerop fosse sempre ben vestito e
pulito suscitava dolcezza. In questo si avvertiva la mano puntuale di Suzan,
che nel prendersi cura di suo marito forse esagerava un po´nel curarlo e nel
vestirlo, sicché Kerop, a volte, aveva un aspetto buffo e troppo sofisticato.
Ma così, d´altronde, è l´amore: quando lo si vede in azione e dispiegato nella
realtà, esso oltrepassa spesso i confini.
Una sera, poco prima del tramonto, sentii suonare il campanello della mia
abitazione. Era Suzan che ci chiamava e ci chiedeva aiuto. Sul pavimento della
sua casa giaceva Kerop, il quale in quegli ultimi giorni aveva sofferto più del
solito per l´acuirsi della sua malattia. Kerop era nudo sul pavimento e tutto
tremante. Lo vedevo in quello stato e mi facevo coraggio. Nel sollevarlo
avvertivo però una strenua resistenza da parte dell´uomo anziano, il quale
inspiegabilmente faceva forza con il suo corpo verso il terreno. Sicché egli mi
costrinse a fare uno sforzo tremendo per sollevarlo e per stenderlo sul letto.
Quand´ecco, nell´atto di alzarlo, i miei occhi incrociarono i suoi occhi, quasi
supplicanti. E fu solo un attimo, un secondo, in cui avvenne qualcosa di strano
e di inspiegabile. Alla mia vista, ora, quel piccolo uomo indifeso sul
pavimento, in particolar modo il suo sguardo, mi rimandava a qualcosa che non
era presente. Era come se in quegli occhi, ora, fossero impressi tutti gli sguardi
supplicanti degli armeni uccisi dai turchi ad inizio Novecento. Mi erano
apparsi, fugacemente, gli occhi dei bambini e delle bambine deportati nelle
prigioni e assaninati in modo animalesco solo per il fatto di essere armeni e
cristiani; piccole anime innocenti uccise barbaramente perché nate nell´Impero
Ottomano. Era proprio come se tutti quegli armeni, allo stesso modo in cui Kerop faceva nei confronti del
pavimento, volessero opporre restistenza perché non volevano lasciare la terra
e la vita...
Ma subito fui riportato
alla realtà dalla voce di Suzan, la quale mi parlava concitatamente e mi
rivolgeva ringraziamenti. La donna, anzi, costrinse il marito a ringraziarmi
nonostante egli non potesse muoversi e parlare. Kerop disteso sul letto e ormai
al sicuro faceva cenni con la mano per ringraziarmi.
La sera stessa dell´accaduto mi sentivo molto scosso da ciò che avevo
visto. Non solo l´immagine di un uomo oramai privo di vitalità steso sul
pavimento, inerte, ma nel suo sguardo, oramai vicino alla morte, una miriade di
altri sguardi innocenti che invocavano pietà apparivano alla mia vista. Forse
solo l´immagine della morte richiama la morte. Forse solo il dolore estremo può
dare testimonianza del dolore dimenticato. È la vita degli uomini che acquista
senso e cerca redenzione. Chi può, d´altronde, spiegare il significato o il senso del dolore
di quegli innocenti assassinati per essere cristiani senza nemmeno sapere che
cos´è il cristianesimo? Nessuno può spiegarlo, neanche Dio, come ci ricorda la parabola del grande Inquisitore, nei
fratelli Karamazov, di Dostoevskij. Giacché il dolore non può essere spiegato
dalla logica e quindi categorizzato dal logos,
ma il dolore implica un´altra dimensione quella del pathos e della partecipazione. Infatti, neanche Dio spiega il
dolore, ma facendosi uomo e andando incontro alla morte lo partecipa e lo
redime, proprio perché il dolore si partecipa e non si spiega. Sarebbe un
insulto per le vittime innocenti spiegare il senso del dolore e il significato delle
loro morti. Tutto questo Dostoevskij lo ha compreso e lo ha esemplificato magistralmente
nei suoi romanzi. Sicché anche io mi pongo nella disposizione d´animo incline a
partecipare e a sentire quel dolore...
Qualche giorno dopo, incontrai Suzan per le scale del nostro palazzo, la
quale mi comunicò il peggioramento della salute di suo marito. Ora Kerop era
ricoverato in un ospedale. Suzan andava quotidianamente a trovarlo senza fargli
sentire mai il bisogno di affetto e di cure. Erano giorni in cui Suzan veniva
spesso a farci visita e quando lei non veniva andavamo noi a sincerarci delle
condizioni del marito.
Suzan ci raccontava di come la sua famiglia avesse dovuto
trasferirsi in Argentina dopo le persecuzioni da parte dei turchi, e per gli strascichi
degli orrori commessi durante il genocidio e per ripugnanza verso gli Ottomani.
Inoltre, Suzan ci raccontava la storia del suo fidanzamento. Era piacevole
starla ad ascoltare parlare di Kerop e di come egli tanto tempo fa si fosse
impegnato nel conquistarla. Suzan ci diceva anche che dal giorno in cui si
erano sposati, cioè dopo appena tre mesi che si erano conosciuti, loro non si
erano più lasciati.
Ma annuciata dai presagi giunse quasi liberatoria per Kerop la morte.
Sicché ora Suzan vive da sola nel suo appartamento ma, - come lei è solita
ricordare, adesso, a me e a mia moglie- neanche la morte può separarli. Talmente
forte è il legame che li lega.
Ora mi capita di andare a trovare Suzan in casa. Fa tristezza vedere la
stessa luce che vedevo illuminare giorni fa la stanza ed il volto di Kerop,
splendere nonostante la morte e malgrado la sua assenza. Però, al di là del
fatto che Suzan ora si ritrovi sola in casa, un pensiero mi consola. Da quanto
sembra impresso negli occhi della piccola donna: veramente sempre vivo è colui
il quale è presente nel cuore dei suoi
cari. Così è sicuramente per Kerop, il quale vive nel cuore della sua amata Suzan.
Foto di Kerop e Suzan nel loro matrimonio.
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