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Kerop e Suzan. Una storia quasi normale.

di Daniel Filoni

Una luce brilla la sera davanti alla finestra del mio scrittoio, illuminando la stanza di fronte del palazzo in cui vivo fino al mattino. In questa camera abitavano da quaranta anni Suzan e Kerope, i quali vivevano, tranquillamente, una vita serena. Ma quella stanza totalmente illuminata brillava all´insegna di sventura.

La storia di Suzan e Kerop è apparentemente una storia comune; una di quelle storie che puoi ascoltare in qualsiasi parte del mondo. Però, a bene vedere, questa storia fa nascere un insieme di pensieri che andrebbero approfonditi.

Non è molto tempo che io e mia moglie abbiamo fatto conoscenza di due amabili vecchi. Da quando ci siamo trasferiti qui nella nostra attuale casa, subito ci siamo accorti della presenza di due vicini particolari. Suzan e Kerop sono Armeni, ma da tantissimo tempo vivono qui a Buenos Aires, dove si sono conosciuti e si sono innamorati. Kerop e Suzan non avevano figli. Avremo modo di tornare più tardi a parlare della loro nazionalità, giacché il fatto di essere Armeni solleva ulteriori questioni.

Sebbene la loro presenza fosse discreta, ci eravamo resi conto della peculiarità di queste due persone già dal loro aspetto fisico. Suzan è una vecchietta piccola e delicata, dagli occhi espressivi, con il naso proporzionato e ben fatto e tanti capelli grigi, arruffati, che adornano la sua testa.  Lei indossa sempre abiti discreti e poco appariscenti. Sicché se non fosse stato per il suo carattere amabile e per una particolare inclinazione che aveva nella cura di suo marito,  non avrebbe destato molta attenzione. Ma la peculiarità di questa coppia era data, sicuramente, da Kerop e dalla sua malattia. Kerop era un simpaticissimo anziano, colpito purtroppo dal morbo di Alzheimer, che lo ha debilitato e lo ha reso quasi invalido. In questi ultimi anni, Kerop viveva sotto la protezione, la custodia e la cura di sua moglie, la quale, amorevolmente, gli dedicava quasi tutto il suo tempo.

Molto spesso, quando uscivo da casa, li vedevo camminare insieme verso il supermercato, tenendosi sottobraccio.Vederli insieme toccava l´animo e sollevava interrogativi. A volte, quando li vedevo passare davanti a me sulla strada, mi veniva da chiedermi: è mai possibile che questi piccoli e indifesi vecchietti un tempo hanno avuto una grande vitalità e una grande energia? E come è possibile che questa forza, questa giovinezza, appassiscano quasi totalmente con l´avanzare degli anni? Poi, loro si avvicinavano a me e queste domande lasciavano spazio alla realtà.

Kerop oramai era quasi muto, ma la vivacità dei suoi occhi sembrava dire più di mille parole. Inoltre, il fatto che Kerop fosse sempre ben vestito e pulito suscitava dolcezza. In questo si avvertiva la mano puntuale di Suzan, che nel prendersi cura di suo marito forse esagerava un po´nel curarlo e nel vestirlo, sicché Kerop, a volte, aveva un aspetto buffo e troppo sofisticato. Ma così, d´altronde, è l´amore: quando lo si vede in azione e dispiegato nella realtà, esso oltrepassa spesso i confini.

Una sera, poco prima del tramonto, sentii suonare il campanello della mia abitazione. Era Suzan che ci chiamava e ci chiedeva aiuto. Sul pavimento della sua casa giaceva Kerop, il quale in quegli ultimi giorni aveva sofferto più del solito per l´acuirsi della sua malattia. Kerop era nudo sul pavimento e tutto tremante. Lo vedevo in quello stato e mi facevo coraggio. Nel sollevarlo avvertivo però una strenua resistenza da parte dell´uomo anziano, il quale inspiegabilmente faceva forza con il suo corpo verso il terreno. Sicché egli mi costrinse a fare uno sforzo tremendo per sollevarlo e per stenderlo sul letto. Quand´ecco, nell´atto di alzarlo, i miei occhi incrociarono i suoi occhi, quasi supplicanti. E fu solo un attimo, un secondo, in cui avvenne qualcosa di strano e di inspiegabile. Alla mia vista, ora, quel piccolo uomo indifeso sul pavimento, in particolar modo il suo sguardo, mi rimandava a qualcosa che non era presente. Era come se in quegli occhi, ora, fossero impressi tutti gli sguardi supplicanti degli armeni uccisi dai turchi ad inizio Novecento. Mi erano apparsi, fugacemente, gli occhi dei bambini e delle bambine deportati nelle prigioni e assaninati in modo animalesco solo per il fatto di essere armeni e cristiani; piccole anime innocenti uccise barbaramente perché nate nell´Impero Ottomano. Era proprio come se tutti quegli armeni, allo stesso modo in cui Kerop faceva nei confronti del pavimento, volessero opporre restistenza perché non volevano lasciare la terra e la vita...  
Ma subito fui riportato alla realtà dalla voce di Suzan, la quale mi parlava concitatamente e mi rivolgeva ringraziamenti. La donna, anzi, costrinse il marito a ringraziarmi nonostante egli non potesse muoversi e parlare. Kerop disteso sul letto e ormai al sicuro faceva cenni con la mano per ringraziarmi.

La sera stessa dell´accaduto mi sentivo molto scosso da ciò che avevo visto. Non solo l´immagine di un uomo oramai privo di vitalità steso sul pavimento, inerte, ma nel suo sguardo, oramai vicino alla morte, una miriade di altri sguardi innocenti che invocavano pietà apparivano alla mia vista. Forse solo l´immagine della morte richiama la morte. Forse solo il dolore estremo può dare testimonianza del dolore dimenticato. È la vita degli uomini che acquista senso e cerca redenzione. Chi può, d´altronde,  spiegare il significato o il senso del dolore di quegli innocenti assassinati per essere cristiani senza nemmeno sapere che cos´è il cristianesimo? Nessuno può spiegarlo, neanche Dio, come ci ricorda la parabola del grande Inquisitore, nei fratelli Karamazov, di Dostoevskij. Giacché il dolore non può essere spiegato dalla logica e quindi categorizzato dal logos, ma il dolore implica un´altra dimensione quella del pathos e della partecipazione. Infatti, neanche Dio spiega il dolore, ma facendosi uomo e andando incontro alla morte lo partecipa e lo redime, proprio perché il dolore si partecipa e non si spiega. Sarebbe un insulto per le vittime innocenti spiegare il senso del dolore e il significato delle loro morti. Tutto questo Dostoevskij lo ha compreso e lo ha esemplificato magistralmente nei suoi romanzi. Sicché anche io mi pongo nella disposizione d´animo incline a partecipare e a sentire quel dolore...

Qualche giorno dopo, incontrai Suzan per le scale del nostro palazzo, la quale mi comunicò il peggioramento della salute di suo marito. Ora Kerop era ricoverato in un ospedale. Suzan andava quotidianamente a trovarlo senza fargli sentire mai il bisogno di affetto e di cure. Erano giorni in cui Suzan veniva spesso a farci visita e quando lei non veniva andavamo noi a sincerarci delle condizioni del marito.
Suzan ci raccontava di come la sua famiglia avesse dovuto trasferirsi in Argentina dopo le persecuzioni da parte dei turchi, e per gli strascichi degli orrori commessi durante il genocidio e per ripugnanza verso gli Ottomani.
Inoltre, Suzan ci raccontava la storia del suo fidanzamento. Era piacevole starla ad ascoltare parlare di Kerop e di come egli tanto tempo fa si fosse impegnato nel conquistarla. Suzan ci diceva anche che dal giorno in cui si erano sposati, cioè dopo appena tre mesi che si erano conosciuti, loro non si erano più lasciati.
Ma annuciata dai presagi giunse quasi liberatoria per Kerop la morte. Sicché ora Suzan vive da sola nel suo appartamento ma, - come lei è solita ricordare, adesso, a me e a mia moglie- neanche la morte può separarli. Talmente forte è il legame che li lega.
Ora mi capita di andare a trovare Suzan in casa. Fa tristezza vedere la stessa luce che vedevo illuminare giorni fa la stanza ed il volto di Kerop, splendere nonostante la morte e malgrado la sua assenza. Però, al di là del fatto che Suzan ora si ritrovi sola in casa, un pensiero mi consola. Da quanto sembra impresso negli occhi della piccola donna: veramente sempre vivo è colui il quale è  presente nel cuore dei suoi cari. Così è sicuramente per Kerop, il quale vive nel cuore della sua amata Suzan.






















Foto di Kerop e Suzan nel loro matrimonio.


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