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Un sogno

di Daniel Filoni



                               Foto scattata nell'isola di Ponza.


Una volta feci uno strano sogno, difficile da riferire, dal momento che le parole sfuggivano e non si lasciavano afferrare dalla mente.

Era l’inizio della stagione invernale, quando le nuvole, appena prima del tramonto, scendevano piano, posandosi come una coltre sul paesaggio della città sconosciuta e desolata. Infatti, stavano per cadere grandi gocce d’acqua, che, con la loro irruenza, avrebbero bagnato il terreno.

Avevo viaggiato molto, pur ignorando la strada e i chilometri percorsi. Ero stanco, affamato, accecato dal desiderio di procurarmi cibo e bevande; volevo trovare un posto dove trascorrere la notte. Non sapevo il nome del luogo dove mi trovavo. I cavalli avevano corso tutto il giorno, lasciandosi alle spalle un nugolo di villaggi. Lo spazio confluiva nel tempo e il tempo si perdeva nello spazio, come in certe teorie di fisica moderna. Eppure né io né i miei compagni, lanciati al galoppo su abili destrieri, pensavamo a tali questioni. Tutto fluiva inesorabile...

Ed ecco non lontano, proprio dove iniziava la città, una ridda di uomini raccolti vicino il mercato. Stavano assorti. Aspettavano qualcuno che venisse a esaudire le loro richieste. A sentirli parlare si direbbe che proprio oggi fosse il giorno stabilito in cui si sarebbero esauditi i loro desideri, l’attimo in cui le loro esistenze avrebbero improvvisamente acquisito senso. Un terribile silenzio li raccoglieva presso il limite della strada...

Passai avanti e mi addentrai nel centro abitato. Fu proprio in quel momento che accadde qualcosa di strano. Non so ben riferire di questa visione, giacché ero tutto proteso in me stesso. Anche le nuvole in alto iniziarono, con una pioggia snervante, a farsi sentire...

La notte scese sulle case dei piccoli uomini e delle donne bisbetiche, che reclamavano vendetta per secoli di anonimato. Vedevo solo corpi magri, facce dai visi pallidi e smunti... esseri animati da desideri sfrenati, che lanciavano occhiate di fuoco sui passanti. Ed ecco non lontano dal centro abitato: edifici e case bruciate, metà nere e metà grigie, emanavano un odore nauseante di detriti appena incendiati. Facevo fatica a camminare. Inoltre, a complicare il mio passaggio, un manipolo di persone, che si era riversato sul terreno, impediva ai miei piedi di trovare una via da seguire tra quel pantano. I passi si fecero lenti e complicati. Quand’ecco anche l’atmosfera e la scena, forse a causa del condensamento e del dislocamento delle immagini, mutarono. Adesso la piccola città, ricolma di persone, si era trasformata ai miei occhi.

Ora mi trovavo in uno di quei campi di lavoro, dove migliaia di uomini, nell’epoca dei totalitarismi, furono imprigionati e torturati. Devo ammettere che da sempre la disumanità dei campi di sterminio mi ha toccato nel profondo. Ricordo che quando ero bambino, una sera tardi, appena prima di dormire, vidi in televisione immagini strazianti di uomini e donne ammassati gli uni su gli altri. Erano corpi privi di vita, inermi e spenti che riempivano gli spazi all’aperto, adiacenti a  grandi edifici. Non credo che potrò mai dimenticare lo strazio e la violenza di quelle immagini. Infatti, sono quegli stessi sentimenti – che mi porto dentro dall’infanzia – che mi spingono ancora a scrivere...

Ora mi trovavo a camminare tra quei corpi lividi – come precedentemente mi era accaduto tra gli uomini della città – in uno stato di sofferenza e agonia. Siccome ignoravo dove mi trovassi, ero preso da vertigini. Una leggera foschia impediva al mio sguardo di oltrepassare quelle figure e di farmi un’idea più dettagliata del luogo. Nonostante le mie gambe si fossero messe in movimento, non riuscivo a districarmi dai corpi. Avevo perso la cognizione anche di ciò che restava fuori, del mondo. Ogni cosa che avrebbe potuto accadere, al cospetto della situazione che stavo vivendo, sembrava priva di senso.

Difficile dire quel che successe allora. Fu una luce irresistibile che vinse la foschia e che mi aiutò a ritrovare la direzione. Appena mossi alcuni passi fuori dal reticolato, m’apparve lei, mia moglie... in tutta la sua bellezza e il suo candore.
Davvero non posso dire la senzazione che provai. Ce ne andammo insieme, ancora per molti anni, lungo i sentieri della vita.



Descrizione di un sogno realmente accaduto.





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